“Mi sento africano, non italiano”: reportage sconvolgente. Vogliono dare lo Ius soli a chi ci disprezza
Peschiera come l’Africa. «Sì, mi sento africano, marocchino e non certo italiano. Non sono mica scemo. So come ci guardano gli italiani e, sinceramente, preferisco tenermi strette le mie origini ». E’ un passaggio di un reportage sconcertante che su Repubblica realizza Karima Moual. Un viaggio tra giovani nordafricani di seconda generazione che riservano agli italiani e all’Italia solo colpe, risentimento, rabbia. Gira che ti rigira, la colpa delle aggressioni e delle molestie è di noi italiani. Se delle ragazze minorenni sono state oggetto di insulti e molestie è responsabilità nostra. E’ quello che emerge da questa inchiesta tra il disagio di una generazione di figli di immigrati, che hanno per il paese in cui vivono solo livore. L’integrazione sognata dalle anime belle è un fallimento conclamato.
Violenze di Peschiera, i ragazzi nordafricani giustificano i loro coetanei
Ecco alcuni passaggi: «Quello che è successo è vergognoso, quelle molestie sono terribili: ma possibile che i riflettori si accendono solo quando scoppia il caos?
Si svegliano solo adesso scoprendo la rabbia e la violenza che molti ragazzi stanno sfogando? Ma di noi non ha mai avuto pietà nessuno: dallo stesso momento in cui ci hanno sbattuti nei peggiori quartieri, possibilmente ammassando tutti insieme, per identificarci ancora meglio come immigrati, africani a vita. Alla fine, ce l’hanno fatta. Sono riusciti a farci credere di essere più africani che italiani. Non capisco quindi perché tutto sto scandalo». Così parla un ragazzo da Milano, quartiere San Siro. E prosegue: «Ma non ti guardi intorno sorella? Siamo solo la feccia per loro (inteso, gli italiani, ndr), e da dentro queste fatiscenti palazzine sono in pochi a permettersi di sognare. Fare piccole rapine, spacciare, per molti ragazzi è ormai normale».
Repubblica: “Basta entrare un po’ nella loro testa”
Da Milano a Roma il discorso non cambia: giustificare i fatti di Peschiera con il disagio è il discorso di un diciottenne africano che vive a Tor Bella Monica. Così sfogherebbero la loro rabbia un po’ come viene, leggiamo nel reportage. Così come a Barriera di Torino: «Io non sono una vittima. Semplicemente so che devo andare a prendere quello che mi spetta. Perché tanto qui non me lo darà nessuno. Sai quante volte mi hanno fermato le forze dell’ordine solo perché ho la faccia da maghrebino? Tanto vale fare il vero spacciatore». Sono parole da brividi e c’è da avere paura per tanta rabbia neanche dissimulata: loro – scrive la Moual- preferiscono l’Africa, la realtà dove sono nati i loro genitori; e l’Africa l’hanno ricreata a Peschiera, con lo sfogo della rabbia contro le ragazze italiane insultate e molestate pesantemente. L’autrice scrive che “Basta parlarci, entrare un po’ nella loro testa”. Bisogna comprenderli questi molestatori perché “si trovano al centro di un vero scontro generazionale con la cultura e le tradizioni dei genitori; dall’altra, in un conflitto identitario con il Paese dove sono nati e cresciuti”.
Molteni: “Si rischia di dare la cittadinanza a chi ci disprezza”
Andatelo a raccontare a chi ha avuto figlie molestate- e non da oggi- violentate e stuprate. “Come si è riusciti a portare una parte delle seconde generazioni di nuovi italiani a percepirsi “Africa” nel Paese in cui sono nati e cresciuti?”, si chiede la giornalista. Ma non si dà una risposta. Anzi, si scherza col fuoco. L’Italia rischia di regalare la sua cittadinanza a chi la detesta nel profondo. L’idea Ius soli che per Letta e la sinistra è una priorità ribadita anche di recente, rischia di concedere lo status di cittadino “non a chi lo merita, ma a un esercito di persone che fa dell’ostilità per il Paese d’accoglienza un elemento identitario (con ciò danneggiando tutti gli immigrati, peraltro)”. A parlare è il sottosegretario del ministero dell’Interno, Nicola Molteni, intervistato dal Giornale. «Quel che è accaduto – avverte – è l’esatta dimostrazione di cosa significherebbe dare la cittadinanza facile e breve a chi mostra quel disprezzo”. Sembra quasi una risposta a quanto documentato da Repubblica. “Questo penso quando leggo frasi come ‘portiamo l’Africa qui o donna bianca’. Io voglio riaffermare il principio che la cittadinanza non è uno strumento di integrazione: ma l’approdo di un processo che deve premiare chi ama un Paese e ne assorbe cultura e valori. Non si può regalare”.