Polvere di (Cinque)Stelle, sondaggisti concordi: «La scissione farà male sia a Di Maio sia a Conte»
“Esse” come scissione, ma anche come sondaggio. L’automatismo scatta spontaneo: nata una sigla dalla costola di un partito, scatta la corsa a valutarne appeal e consistenza presso l’elettorato. E quella tenuta a battesimo due giorni fa da Luigi Di Maio, informa il Messaggero, non fa eccezione. Certo, 48 ore costituiscono davvero un “tempo piccolo” (copyright Franco Califano) per pretendere di misurarne la capacità di richiamo presso i cittadini, ma sono sufficienti a fare delle ipotesi. Necessaria, tuttavia, una premessa: al momento i sondaggisti sono interessati a capire chi, tra lo scissionista Di Maio e lo scisso Giuseppe Conte, può catturare più consensi. Le variabili che germogliano intorno alle intenzioni di voto sono infinite, la qual cosa impedisce di sciorinare certezze granitiche. Tranne una, ricavata dall’esperienza storico-politica: le scissioni penalizzano tanto chi le fa quanto chi le subisce.
«Di Maio tra il 2 e il 3%»
Tradotto nel nostro caso, significa che mentre Insieme per il Futuro (la sigla coniata dal ministro degli Esteri) si attesterebbe intorno al 2/3 per cento, il M5S scenderebbe sotto la soglia psicologica del 10. Non tutti però la pensano così. È il caso, ad esempio, di Roberto Weber, presidente di Ixè. A suo giudizio, infatti, persino quella modesta percentuale potrebbe rivelarsi irraggiungibile per Di Maio mentre Conte potrebbe addirittura non perdere niente. E questo perché, spiega, «nel ranking del gradimento dei leader, Draghi è sempre al primo posto, ma al secondo c’è lui». A patto, ovviamente, che faccia «nutrire» la popolarità «da atti politici, non da ambiguità». Non dà invece numeri Enzo Risso (Ipsos), che preferisce analizzare le aree politiche. «Quella verso cui tende Di Maio – rileva – è molto affollata».
«M5S sotto la soglia psicologica del 10%»
Di sigle, però, non di voti: «In quadro politico tendenzialmente polarizzato, non va, tutti compresi, oltre il 15 per cento». Di Maio sotto il 2/3 per cento è la stima su cui scommette anche Carlo Buttaroni, di Tecnè. Che non porta buone notizie neanche a Conte: «Doveva essere la congiunzione tra l’ala governista e quella movimentista ma adesso mancano le radici». Concetto ripreso da Antonio Noto (Noto sondaggi): «Di Maio era più radicato di quanto non sia Conte che è visto un po’ come un estraneo». Morale: la scissione rischia di far scendere il M5S sotto il 10. Più articolata la previsione sulla performance del titolare della Farnesina. «È possibile – ragiona Noto – che non nasca un partito di Di Maio ma un partito in cui c’è anche di Maio, e questo cambierebbe il consenso».