Referendum: nella cabina Ingroia ti vede, Dio no. Follia dell’ex-pm: «I mafiosi in fila per votare “sì”»
Finalmente uno che sui referendum parla talmente chiaro, che più chiaro non si può. Di chi si tratta? Antonio Ingroia, già pm dell’inchiesta sulla “trattativa Stato-mafia“, puntualmente abortita in tribunale, e poi leader della cosiddetta Rivoluzione arancione, abortita invece nelle urne. Oggi è avvocato, ma non per questo ha ripudiato l’antico istinto da pm. «Spero assolutamente che il quorum non venga raggiunto. Io stesso non andrò a votare», rivela infatti all’Adnkronos. Perché, spiega, «i referendum sulla giustizia vengono percepiti come quesiti contro la magistratura». Ragion per cui, aggiunge, «non vedo la criminalità organizzata fare la fila per votare no, la vedo in fila a votare sì». Capita l’antifona? I seggi apriranno solo domenica ma Ingroia già li “vede” affollati di boss, padrini e picciotti.
Ingroia: «Non andrò a votare»
Fosse stato ancora pm – chissà – forse avrebbe già fatto scattare le manette ai polsi ai membri del Comitato promotore del referendum, dei sottoscrittori e persino dei giudici della Consulta che hanno ammesso i quesiti. Nessuna sorpresa, del resto: chi è abituato a spacciare teoremi per verità giudiziarie non ha alcuna remora a rivestire di mafiosità una consultazione elettorale. Ma quali sono, a giudizio di Ingroia, i quesiti che più fanno leccare i baffi ai mammasantissima? «Custodia cautelare e separazione delle carriere», risponde lui. E questo, nonostante in teoria Ingroia non neghi la necessità «di una seria e profonda riforma della giustizia». Quel che non gli piace, infatti, è lo strumento del referendum abrogativo.
«Sarei stato favorevole al quesito sulla responsabilità civile»
«È il meno adatto per intervenire su temi delicati, su cui bisogna trovare un punto di equilibrio fra interessi contrapposti», argomenta. Tuttavia, è proprio qui che casca l’asino, dal momento che il solo accennare ad «interessi contrapposti» svela l’idea di una magistratura intesa come contropotere. Ma torniamo ai quesiti: dei cinque ammessi, Ingroia ne salva uno solo, quello sulla partecipazione degli avvocati alla valutazione di professionalità dei magistrati. «Se avessi deciso di andare a votare, avrei votato sì», assicura. Ma dove stupisce l’ex-pm è quando lamenta la mancata ammissione del quesito sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. «Penso dovrebbe essere introdotta poiché non intacca in alcun modo l’autonomia e l’indipendenza dei giudici». E qui è lui che ha ragione da vendere.