Referendum, toghe rosse e cicisbei non s’illudano: la battaglia per la giustizia giusta comincia ora
Era già tutto previsto: prima la Consulta che amputa il referendum asportandovi il quesito più mobilitante, cioè quello relativo alla responsabilità diretta dei magistrati; quindi la decisione del governo di far votare (Lega e FI, dove eravate?) in un solo giorno di metà giugno. Infine, il boicottaggio a reti unificate che ha di fatto cancellato la consultazione dai radar della pubblica opinione. Tutto, insomma, ma proprio tutto, ha funzionato per far andare pressoché deserto l’appuntamento con le urne. E così è stato: neppure il 20 per cento di affluenza. Eppure sbaglierebbe chi – come Anm, Repubblica e Fatto Quotidiano – pensasse che un quorum tanto desolante si possa tradurre automaticamente in una promozione della magistratura. È un’illusione, e neppure tanto pia. Lo sfascio della nostra giustizia è nei numeri.
Al referendum hanno votato 20 elettori su 100
A cominciare da quel 99 per cento di toghe che fa carriera grazie alla valutazione dei propri colleghi, per finire a quei circa 1500 cittadini (la stima è relativa al solo 2021) in attesa di risarcimento per ingiusta detenzione. Percentuali e numeri che altrove farebbero a cazzotti, ma che qui da noi vanno a braccetto come se niente fosse. E questo spiega perché a danzare intorno al referendum fallito siano soprattutto la Casta di quelli che “vestivamo alla Palamara“, toghe rosse ma non solo, e quei giornali che traggono autorevolezza editoriale e influenza politica dall’incesto con le Procure. Insieme – pm politicizzati e cronisti megafoni – formano il premiato circo mediatico-giudiziario tra che da trent’anni decide chi in Italia governa e chi no, spesso a dispetto dei responsi elettorali.
Nel nome di Tortora, Falcone e Borsellino
Un’anomalia tutta nostrana che il referendum si prefiggeva di mitigare attraverso l’approvazione dei quesiti ammessi. È andata male. Ma non tutto è perduto, perché quel 20 per cento scarso di italiani che ha sfidato il “sistema” andando a votare (soprattutto il “sì“) ha comunque restituito centralità al tema giustizia. Esistono vittorie che somigliano a sconfitte (il popolo che diserta le urne lo è per tutti) e sconfitte che preparano vittorie. Gli allestitori del circo di cui sopra festeggino pure, se vogliono. Ma stiano attenti a brindare al cessato pericolo: la battaglia per una giustizia giusta, quella per cui Enzo Tortora è morto e Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati uccisi, comincia solo ora.