Repubblica tifa contro: “Votate no o andate al mare”. Un grande esempio di democrazia
“Ecco perché diciamo no”. È il titolo del lungo editoriale di Francesco Bei su Repubblica dedicato all’election day di domani (amministrative e referendum). In pieno silenzio elettorale il quotidiano diretto da Molinari non solo conferma la netta posizione in materia di giustizia, perché si mantenga rigorosamente lo status quo, ma invita alla diserzione. Non proprio un esempio di democrazia.
Referendum, Repubblica invita alla diserzione
Augurarsi che gli elettori vadano al mare e disertino le urne è un monito che conferma il disprezzo snob e progressista per il popolo, quando non si esprime secondo i desiderata del mainstream. All’insegna, neanche a dirlo, del salvataggio dal mostro nero, Fratelli d’Italia e Lega, e della tenuta democratica. L’esordio fa capire subito la filosofia e la linea del quotidiano di piazza Indipendente. Che critica la scelta del governo di unificare i due appuntamenti elettorali in un solo giorno. E gongola per la progressiva agonia dell’istituto del referendum. “Che da vent’ anni ormai (con l’eccezione dei quesiti del 2011, trainati dal disastro della centrale nucleare di Fukushima) è diventato uno strumento inservibile. E sembra incapace di suscitare l’interesse dei cittadini”.
Votate no o andate al mare…
Poi l’appello al voto. o meglio al non voto. “Riteniamo che su tutti e 5 i quesiti sia opportuno votare No”. E fin qui nulla di scandaloso. La difesa corporativa delle toghe e la sopravvivenza della macchina giudiziaria sono da sempre il faro del quotidiano fondato da Scalfari. L’altra opzione consigliata da Bei, invece, lascia senza parole. “Oppure non recarsi al voto, per non consentire il raggiungimento del quorum”. Si chiede e si spera che gli elettori rinuncino al loro diritto di voto e di espressione. Giocando sulla prevedibile scarsa partecipazione si spera nell’effetto contagio.
Votare Sì equivarrebbe a peggiorare la situazione
“È vero che il servizio Giustizia è considerato largamente inefficiente, è vero che i cittadini sono in gran parte insoddisfatti. Ed è altrettanto innegabile l’assenza di un reale processo di autoriforma. Da parte della magistratura associata dopo lo scandalo Palamara”. Però esprimersi a favore dei quesiti referendari equivarrebbe a peggiorare le cose. E far trionfare, sotto sotto anche se non lo dice, i populisti, post-fascisti etc. Passino le considerazioni sulla necessità di integrare la ricetta referendaria con una riforma strutturale. Ma dire che la medicina proposta “aggraverebbe la malattia del paziente invece di curarlo” significa tifare perché tutto resti esattamente com’è.
Guai a toccare la legge Severino
Nel merito dei quesiti si guarda con terrore all’abolizione della legge Severino. “Che viene proposta – si legge – perché la sospensione degli amministratori locali dopo una condanna in primo grado ha dato spesso adito a ingiustizie. Vero. Peccato che, votando Sì, insieme all’acqua sporca si butterebbe anche il bambino”. Naturalmente Repubblica pensa al caso Berlusconi. Il Cavaliere dopo decenni si conferma un’ossessione.
Lo “spauracchio” di Fratelli d’Italia agita il sonno
Anche sulla limitazione della custodia cautelare si tifa contro. Confermando l’antica vocazione anti-garantista. La linea non cambia sulla questione più dibattuta. Quella della completa separazione delle funzioni tra magistratura inquirente e giudicante. “Separare definitivamente i due percorsi, come avverrebbe con il Sì, porterebbe soltanto a trasformare il pubblico ministero in un soggetto autoreferenziale. Quasi un super-poliziotto. La chiosa si commenta da sé. Ve lo immaginate un esercito di pm agli ordini di un ministro della giustizia leghista o di Fratelli d’Italia?” Per Repubblica è un incubo. Per molti cittadini un sogno.