Sinistra e Lgbt accusano Meloni e Donazzan per il suicidio di Cloe Bianco. Polemica disgustosa
La tragica vicenda umana di Cloe Bianco, la prof trans che si è suicidata ed è stata trovata carbonizzata nel camper in cui viveva, diventa, nelle mani della sinistra e della comunità Lgbt, materia per una orrenda speculazione politica. A leggere i commenti, infatti, responsabili della scelta di Cloe Bianco di togliersi la vita sarebbero nell’ordine, Elena Donazzan, assessore all’Istruzione del Veneto, che sette anni fa ebbe la ventura di giudicare non opportuno il repentino coming out della docente, che da un giorno all’altro dismise i panni maschili per presentarsi in classe con quelli femminili, e Giorgia Meloni, che nel comizio tenuto in Andalusia a sostegno di una candidata di Vox ha detto «no alle lobby Lgbt».
La campagna d’odio armata da sinistra e comunità Lgbt
Il tam tam sui social, alimentato da esponenti di spicco del Pd da Alessandro Zan a Monica Cirinnà, si può sintetizzare in un sillogismo che suona più o meno così: Cloe si è suicidata perché discriminata; Donazzan direttamente e Meloni indirettamente l’hanno discriminata; Donazzan e Meloni hanno indotto al suicidio Cloe. Il risultato è una campagna d’odio fatta e non finita nei confronti di queste due donne che scontano, per certi versi come Cloe, il fatto di rivendicare la propria identità.
Meloni e Donazzan nel mirino degli haters
Meloni, già prima che venisse gonfiata la campagna d’odio sul caso Cloe Bianco, aveva avvertito in un video che tutta la cagnara sollevata intorno alle sue parole andaluse rischiava di solleticare la mente di qualche squilibrato, mettendo a rischio la sua sicurezza. Donazzan ha dovuto chiudere ai commenti le sue pagine social, in queste ore tempestate da messaggi d’odio contro di lei e contro la sua famiglia. Qualcuno di quelli sempre pronti a riconoscere le colpe altrui potrebbe obiettare che chi semina vento raccoglie tempesta. Il problema, però, è che mai, né Donazzan né Meloni, hanno pronunciato parole d’odio, a meno che non si voglia bollare così avere un’idea diversa dalla sinistra e dalla comunità Lgbt in fatto di diritti e, perché no, di doveri civili.
Il Tribunale del Lavoro stigmatizzò i modi del coming out di Cloe Bianco
In particolare, a Donazzan oggi si imputa di aver condiviso, sette anni fa, la lettera di un genitore che lamentava come quell’improvviso arrivo in classe di Cloe in minigonna, tacchi a spillo e parrucca avesse spiazzato e, sì, anche preoccupato i genitori. Il commento di Donazzan fu: «Traete voi le vostre conclusioni». L’assessore, messa oggi sul banco degli imputati, ha aggravato la sua posizione di fronte al tribunale arcobaleno rivendicando quello sgomento e non facendo alcuna ammenda rispetto alla sanzione disciplinare che colpì la prof. Sanzione che, è il caso di ricordarlo, fu avallata dal giudice non per il coming out – «legittima scelta identitaria», la definì il Tribunale del Lavoro di Venezia – ma per i modi in cui era stato realizzato.
La richiesta di rispetto dei ruoli e dei contesti
«Se tempi e modi di tale scelta fossero stati attuati diversamente, questa sarebbe stata responsabile, corretta e consona alla funzione di docente», spiegava la sentenza. Dunque, un Tribunale del Lavoro, non Donazzan, riconobbe nel comportamento di Cloe un’avventatezza non adeguata al ruolo e al contesto. Ribadisce oggi l’assessore: «Sentire la propria sessualità in modo diverso, particolare, omosessuale, transessuale è una cosa, ma non è la scuola il luogo della ostentazione, perché di questo si trattò. Ci sono molti insegnanti gay che conosco, che si confrontano con me, che di certo non usano la scuola per farne una vetrina, che rispettano il luogo della scuola. In queste ore sono tornata su alcune vicende che hanno aperto un dibattito nazionale, non solo in Veneto, sui ragazzi richiamati a un abbigliamento più consono al luogo istituzionale. Allora questo vale per i ragazzi – si domanda – ma non può valere per un docente? Che tipo di messaggio diamo?».
Il tormento della prof per la propria identità sessuale
Le cronache di oggi non ci dicono quale fu la reazione di Cloe al richiamo del Tribunale, sappiamo però che fu trasferita a un ruolo di segreteria. Sappiamo anche, dalle sue parole di congedo da questa vita oltre che dal suicidio in quanto tale, che era una persona profondamente tormentata e, da quello che si evince, che lei per prima non era riuscita a chiudere i conti con la sua identità sessuale. «Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Non faccio neppure pietà, neppure questo», scriveva di sé. E quanto più colpisce nel profondo il tormento di questa povera anima lacerata, tanto più genera disgusto il tentativo di strumentalizzarlo a fini politici, senza remore, «senza neppure pietà» anche di fronte alla morte.
Donazzan: «Cloe Bianco lasciata sola dalla comunità Lgbt»
Una strumentalizzazione alla quale Donazzan ha replicato con la schiettezza che le è propria e che l’ha portata anche a ricordare senza infingimenti che, sì, in quel lontano 2015 definì Cloe «un uomo vestito da donna», perché certe cose sono come sono anche se soggettivamente le percepiamo diverse. «È sconvolgente che il movimento Lgbtq+ stia usando la morte tragica di una persona per fare una polemica politica. Io credo che chi ha lasciato solo il professor Bianco sia proprio il movimento Lgbt, perché a 7 anni di distanza, solo per cercare di trovare la visibilità, per attribuire una responsabilità, senza farsi una domanda sul modo del suo coming out», ha detto l’assessore, ricordando come la vicenda di Cloe, in fondo, sia sempre stata strumentalizzata: «Venne usato allora, come bandiera di grande coraggio, ed oggi viene usato in morte per fare una polemica tutta politica, perché sono di Fratelli d’Italia».