Il “governo pigliatutto” fallisce sempre. Meloni è stata garante di democrazia, altro che onda nera
C’è qualche conclusione da tirare a mente fredda e a futura memoria nel dopo-Draghi. A che è servito se no, essersi macerati in discussioni e scontri di sapore quasi ideologico ? Il dato che sta su tutto e tutti è questo: i governi “di unità nazionale”, pur guidati da figure di alto profilo come si dice, non funzionano. E, guardate, non funzionano in ogni caso, chiunque dovesse essere chiamato a presiederli; fossero anche personalità di centrodestra. Oggi é il momento di mettere la parola fine a queste esperienze, in termini di cultura politica. E ricordarlo quando la tentazione tornerà. Perché tornerà, di certo. “Unità nazionale” sa di Costituzione che la invoca. E di patriottica “union sacrée” che qualche fascino ha esercitato a destra. Persino su chi scrive. Ma il tempo di Raymond Poincaré che la inventò nella Grande Guerra è lontanissimo. Oggi è un archetipo tradito dalla praxis: impareranno classi dirigenti e opinionisti a non inseguire più tali suggestioni, dico io ?
Gli esecutivi larghi riproducono sempre fratture antiche
I governi guidati da Letta e Monti in fondo erano stati due prototipi – uno a guida politica, l’altro a guida tecnica – dell’appena spirato gabinetto Draghi. Al quale – impressiona quel “Migliore” passato da Togliatti a un banchiere centrale – vanno date tutte le colpe individuali che ha; ma senza caricargli quella dell’appartenenza alla “species” che é sbagliata “in re ipsa”. La verità è che gli esecutivi larghi larghi sono aggregati di progetti e volontà politiche contrastanti. Irriducibili a coesione. Sempre. Il nostro Paese viene da “fratture” storiche, politiche, sociali che rendono fallimentari queste sperimentazioni. E forse é giusto così. Non abbiamo tradizioni di coalizioni grosse e grasse. E’ la nostra identità. Non siamo la Germania. Se non si vorrà creare un paradigma negativo di “governo pigliatutto e pigliatutti” – partiti e politiche – nella scia deprecabile del catch-all party, studiato da Otto Kirchheimer e dal nostro Pasquino, l’Italia dovrà sempre affidarsi a un sistema bipolare, alla democrazia dell’alternanza: si vince e si perde, con schieramenti il più possibile omogenei e coerenti, una volta per uno; tanto, non è mai per sempre. Un sistema politico che legittima sia chi governa, come chi dissente.
Meglio affidarsi alla democrazia dell’alternanza
L’opposizione ha così un ruolo essenziale: fa il suo mestiere e si prepara a governare, quando gli elettori lo decideranno. Anzi, è giunta l’ora di costituzionalizzarla questa funzione, con la codificazione di uno “statuto dell’opposizione parlamentare”. Intanto, sul piano politico, bisogna prendere atto che Giorgia Meloni ha puntato sulla “missione” dell’opposizione. Ne ha anche intuito le potenzialità espansive, senza farsi frastornare dal coro. E neppure da errori di valutazione altrui. Ma mai mancando di rispetto al mandato frontistante del capo del governo; tra le righe: lo avrebbe pure votato per l’alto soglio arbitrale di Capo dello Stato. Ha persino assicurato – elemento che oggi é stato smemorizzato – la continuità della tradizione di “interesse nazionale” a destra, col voto favorevole di Fratelli d’Italia all’iniziativa del governo nella guerra della Russia all’Ucraina; inclusa l’impegnativa decisione di inviare le armi alla nazione aggredita: un tornante storico per l’Europa. E una scelta che resterà scritta nella storia della “rive droite” italiana. Non era scontata.
Meloni: altro che onda nera, ha garantito che la democrazia non fosse sospesa stando all’opposizione
Obiettivamente, alla leader di FdI andrebbe dunque riconosciuto il ruolo che ha esercitato; di avere, così, garantito un contrappeso senza il quale sarebbe stata in dubbio la vita democratica della nostra Repubblica: in mancanza di opposizione, la democrazia politica o non c’è o é sospesa. Va detto. E va fatto presente a quanti in questi giorni usano toni deprecabili ed estremi contro la Meloni. Altro che “onda nera”. Ma ci tornerò. Vogliamo tirare le somme del ragionamento ? Il governo di tutti è il governo di nessuno. É la lezione di cultura politica che ci viene da ciò che è accaduto. E dal suo finale. Da tenere sempre a mente. Oltre Mario Draghi. Mortificato prima nella corsa per il Quirinale, adesso come premier: una figura di fronte al mondo che bisognava risparmiare a lui e soprattutto all’Italia. E – ulteriore dato da sottolineare – in nessuno dei due casi per responsabilità dell’opposizione; la quale si è tenuta alla larga dal disdoro che viene rimproverato al mondo politico dagli osservatori intra ed extra moenia. Forse i “giudici” internazionali – a partire dal democrat NYT – nei loro verdetti anticipati sulla leader di FdI, avrebbero dovuto cogliere una questione tanto saliente. E non precipitarsi in analisi orbe di tale fatto significativo: strambano il giudizio sulla destra politica e sulle prospettive del centrodestra italiano. Ma si vota e le imminenti elezioni politiche, stando ai sondaggi, surrogheranno il mancato riconoscimento degli establishment, con quello dei cittadini. Come diceva il generale De Gaulle: “l’intendance suivra”. Stavolta in modo capovolto. Dal popolo.