Mattarella rimanda Draghi alle Camere. Ora Pd, Renzi e Di Maio tirano per la giacca il premier e tifano per il bis
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto Mario Draghi, il quale ha rassegnato le dimissioni. Il Presidente -riferisce una nota del Quirinale- non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata. Draghi farà le sue comunicazioni in Parlamento mercoledì.
Una mossa che ha come fine quello di parlamentarizzare la crisi e consentire ai partiti di lavorare per un Draghi bis. Che sembra essere di certo l’obiettivo del Pd e anche della pattuglia di parlamentari che hanno seguito Di Maio. “La figura del presidente Mario Draghi – recita una nota di Insieme per il futuro – è preziosa e fondamentale per il nostro Paese, adesso serve un chiaro segnale dal Parlamento. Lavoriamo affinché mercoledì in Aula emerga una solida maggioranza a sostegno di questo governo. È il momento della maturità e del senso di responsabilità. Non possiamo permettere che l’Italia vada incontro a un collasso economico e sociale”. Stesso tono nei commenti di Italia Viva e di esponenti di Forza Italia come Renato Brunetta.
Matteo Salvini afferma che non bisogna avere paura di chiedere il parere degli italiani ma non chiede in modo vigoroso le elezioni come invece ha fatto la leader di FdI Giorgia Meloni. Per la Lega la colpa della caduta di Draghi è tutta ascrivibile ai capricci di M5S e alle istanze ideologiche del Pd. E Giorgetti fa intravedere spiragli: ci sono sempre i tempi supplementari. Anche Forza Italia giudica la crisi frutto di irresponsabilità. “Complimenti al M5S per questo guaio”, ha detto Antonio Tajani. Ma che i partiti si sarebbero dati da fare per tirare Draghi per la giacchetta era scontato.
Il punto è: che cosa farà il premier dimissionario? I toni perentori del comunicato con il quale ha annunciato le dimissioni non lasciano molto margine a ripensamenti. E Giuseppe Conte, che in serata riunisce il consiglio nazionale dei pentastellati, non può certo tornare sui suoi passi senza perdere del tutto la faccia. E stavolta in modo definitivo. E’ facile a questo punto ribadire quanto più di una volta in occasione di altre crisi è stato detto e ripetuto: quando una crisi di governo si apre si sa come comincia ma non è facile prevedere come andrà a finire. Sono in troppi ad avere un folle timore di quella che sarebbe la strada maestra in ogni democrazia “normale”: il ritorno al voto.