Meloni: «La lotta alla mafia alla base del mio impegno. Tutti diano un segnale forte e compatto»
«La lotta alla mafia è una delle ragioni per le quali abbiamo iniziato a fare politica e per le quali continuiamo a farla e la battaglia contro la criminalità è tutt’altro che conclusa». In un articolo a propria firma su Libero di oggi, Giorgia Meloni ricorda un episodio arcinoto e determinante della sua vita: la scelta di iniziare a fare politica dopo gli assassini di Falcone e Borsellino. E in questo inizio di campagna elettorale, che cade a ridosso dell’anniversario di via D’Amelio, ribadisce quella missione che si diede da ragazzina e che ha portato avanti in questi trent’anni di impegno politico. Ma per la quale c’è bisogno di rigore da parte di tutti. «La mafia è multiforme, si annida nei territori, allunga le sue mani sporche nelle Istituzioni, si nutre delle energie migliori dello Stato», sottolinea Meloni, auspicando che «tutta la classe politica dia un segnale forte e compatto».
Meloni ricorda l’impegno parlamentare di FdI contro la mafia
FdI ha le carte in regola per mettersi alla guida di questo «dovere morale e materiale» della lotta alla mafia. Il partito, infatti, nella sua azione parlamentare non ha mai tentennato di fronte alla necessità di essere inflessibili per non concedere ossigeno a questo cancro. Gli esempi sono lì, agli atti parlamentari (e non solo). C’è l’impegno di FdI per la difesa dell’ergastolo ostativo, «istituto nato – ricorda la leader di FdI – negli anni delle stragi dall’intuizione di Falcone e che ha permesso di infliggere colpi durissimi a Cosa Nostra». «Uno strumento che – spiega – impedendo ai condannati per mafia non collaboranti di ottenere qualsiasi beneficio di legge e sconto di pena, permette di perseguire due obiettivi: da una parte incentivare i mafiosi a collaborare con la giustizia; dall’altra impedire a coloro che non recidono i legami con il mondo mafioso di ritornare, seppur parzialmente, in società».
La difesa dell’ergastolo ostativo: «Non possiamo darla vinta a Riina»
Sul tema FdI ha presentato una proposta di legge costituzionale e una ordinaria, per salvarne «i principi ispiratori e per impedire che chi non ha dato prova effettiva di aver tagliato i propri ponti con la mafia possa tornare libero». «Non possiamo – avverte la leader del partito – darla vinta a Totò Riina, che aveva messo proprio la cancellazione di questo istituto tra i punti del famoso “papello” di richieste allo Stato per fermare le stragi».
La necessità di mantenere il carcere duro
E, ancora, «FdI si sta battendo anche per il mantenimento del carcere duro, il 41 bis, che negli anni sta diventando sempre più un colabrodo». «La mafia continua a spingere per rendere più morbido il trattamento penitenziario dei detenuti», avverte Meloni, ricordando le rivolte nelle carceri durante la pandemia, rispetto alle quali «FdI per primo ha denunciato che dietro ci fosse una regia». «Purtroppo il governo ha scelto di cedere», quando, «con l’articolo 123 del decreto “Cura Italia”, il ministro della Giustizia di allora, Alfonso Bonafede, ha introdotto il nesso tra detenzione e rischio contagio e le circolari del Dap che ne sono derivate hanno spalancato le porte a centinaia di mafiosi».
La questione culturale e la necessità di andare oltre Gomorra o Suburra
Poi c’è la questione culturale, altrettanto cruciale. «La lotta alla criminalità organizzata è un impegno che deve vederci tutti uniti. Anche e soprattutto dal punto di vista culturale», ammonisce Meloni, spiegando che un «grande esempio di servizio pubblico» fu la scelta della Rai di seguire il maxi-processo di Palermo, che trasmetteva «la consapevolezza che la mafia poteva essere sconfitta». «Il compito più importante che hanno artisti, intellettuali, scrittori è fare del coraggio e della giustizia valori da difendere», non creare «un humus culturale» favorevole alla criminalità organizzata, non «arrenderci all’idea che l’Italia possa ridursi al racconto di Gomorra o di Suburra». Per questo, prosegue la leader di FdI, «credo che Rai, Ministero della Cultura e Film Commission regionali possano giocare un ruolo decisivo nella produzione e promozione di prodotti culturali capaci di raccontare esempi positivi».
La Commissione d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio
Parallelamente «deve proseguire l’impegno per illuminare le pagine buie della nostra storia». Anche in questo FdI ha fatto la sua parte, presentando «la proposta di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio». Meloni, nel suo intervento su Libero, cita il processo “Borsellino quater”, che «ha accertato alcune delle responsabilità per concorso nella strage e ha riconosciuto che altri hanno mentito, depistato le indagini, contribuito ad intorbidire le acque» e chiarisce: «Siamo perfettamente consapevoli che, a distanza di tanto tempo, accertare la sussistenza di ulteriori responsabilità penali possa essere un lavoro molto difficile, a tratti impossibile. Ma l’Italia ha diritto di conoscere la verità storica».
Meloni: «Tutta la classe politica dia un segnale forte e compatto»
«Sono felice – spiega – che l’esame della proposta di FdI sia finalmente partito alla Camera e che diversi autorevoli magistrati, come ad esempio il presidente del Tribunale di Palermo Balsamo che ringrazio, si siano espressi a favore. Abbiamo il dovere morale e materiale di contribuire alla ricostruzione di fatti che la mafia ha volutamente insabbiato, anche trovando ignobili sponde in pezzi deviati dello Stato. La strage di via D’Amelio resta una ferita aperta che tutti noi abbiamo l’obbligo morale di contribuire a rimarginare. Per questo – conclude – mi auguro che tutta la classe politica, senza distinzione alcuna, dia un segnale forte e compatto. Lo dobbiamo all’Italia, agli eroi che hanno compiuto l’estremo sacrificio e a tutti gli italiani onesti e perbene che si battono ogni giorno per liberare l’Italia dall’oppressione mafiosa».