Nel centro d’accoglienza di Bari comandava la mafia nigeriana: riti vodoo e donne schiave, 23 condanne

21 Lug 2022 8:16 - di Luisa Perri
Bari mafia nigeriana

La mafia nigeriana aveva una delle sue basi operative nel centro di accoglienza di Bari – Palese. È la clamorosa evidenza giudiziaria che è emersa nel processo che si è concluso martedì con ben 23 condanne.
Riti voodo per costringere le donne a prostituirsi, violenze, pestaggi, accattonaggio di mendicanti, accoltellamenti. Il controllo era in mano a due tra le più spietate gang nigeriane, Vikings e Eiye, ma più noti come Rossi e Blu dai colori dell’abbigliamento scelto in occasione dei summit. Secondo l’accusa avevano stabilito la loro base operativa nel Cara e operavano soprattutto nel quartiere Libertà del capoluogo pugliese.

Un’inchiesta nata nel 2016 dopo alcune denunce anonime

L’indagine della Squadra mobile di Bari, coordinata dalla Dda, partì nel 2016 dalla denuncia anonima di alcune presunte vittime. Gli investigatori hanno accertato che le donne sarebbero state costrette a sottomettersi con violenza fisica e psicologica, considerate “oggetti fabbricasoldi”. Stessa violenza sarebbe stata riservata ai mendicanti, costretti a pagare il pizzo sull’elemosina per garantirsi una postazione davanti ai supermercati di Bari e provincia. I giudici hanno anche riconosciuto per tutti l’aggravante del metodo mafioso.

I riti feroci della mafia nigeriana sui migranti del Cara di Bari

Gli imputati, tutti arrestati nel dicembre 2019, erano stati ospiti del Cara fino a un anno prima. Le condanne più elevate, a 19 anni e 8 mesi e a 18 anni di reclusione, sono state inflitte ai due presunti capi dei rispettivi gruppi, il 32enne Osas O Ighoruty e il 26enne Gbidi Trinity.
Per arruolarsi nelle gang, organizzate come «sette segrete dalla struttura militare e dalla inaudita ferocia», gli aspiranti adepti – così hanno documentato gli investigatori -, dovevano sottoporsi a «prove di coraggio» con le mani legate e incappucciati, picchiati dagli affiliati anziani e, nell’atto di giurare, «costretti a bere una bevanda composta da sangue umano e alcol quale segno di fedeltà sino alla morte», con punizioni corporali nei confronti di chi rifiutava di affiliarsi o di pagare la retta di appartenenza e di prostituirsi. Secondo la Direzione investigativa antimafia, che da tempo segue il fenomeno, la mafia nigeriana va alimentando un mercato della schiavitù che in Italia rende centinaia di milioni di euro all’anno, con un sistema rodato, come appunto quello emerso nel Cara di Bari.

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