Sala & Tabacci: anche Letta e Di Maio all’incontro segreto tra l’ex-dc e il sindaco di Milano
È possibile organizzare un incontro destinato a restare segreto in pieno centro di Roma? Certo, a patto che chi vi partecipa sia un perfetto sconosciuto e non politici noti al pari di Enrico Letta, Luigi Di Maio e Beppe Sala, il sindaco di Milano. Infatti, la riunione è rimasta talmente “carbonara” da campeggiare in tutti i siti online. La sede prescelta era quella dell’Arel, centro studi fondato da Beniamino Andreatta, da tempo nella disponibilità del segretario del Pd per i suoi incontri più delicati e riservati. Come quello odierno, appunto. Il problema è che Letta ha un’idea alternativa della segretezza.
Presente anche l’ex-renziano Librandi
Diversamente, non avrebbe varcato il portone di Palazzo Chigi per un incontro con Mario Draghi che nelle intenzioni di entrambi doveva restare top-secret ma che, invece, grazie al Foglio è diventato di pubblico dominio, con conseguente ira funesta dei leader del centrodestra. Ma torniamo all’incontro odierno. Letta, Di Maio e Sala hanno parlato della campagna elettorale con l’occhio rivolto soprattutto ai suoi aspetti organizzativi. Non è un mistero che il Pd sia alla ricerca di tecnicalità per ridurre il gap di voti che lo separa dal centrodestra.
Di Maio utilizzerà il simbolo del Centro Democratico
Al ministro degli esteri e al sindaco di Milano spetta infatti il compito di raccogliere voti in libertà nelle rispettive aree di competenza dei due: l’ex-elettorato grillino e quello nordista. L’aria però non dev’essere tra le più propizie. Prova ne sia la puntualizzazione di Sala circa la sua non-candidatura. Si limiterà, ha fatto sapere, «a dare una mano». Alla riunione hanno partecipato anche Bruno Tabacci e Gianfranco Librandi. Il primo darà il proprio simbolo a Di Maio, sollevandolo dall’incombenza di raccogliere le firme necessarie a presentare la lista Insieme per il Futuro zigzagando tra sdraio ed ombrelloni sulle spiagge italiane. Il secondo, invece, è un munifico oblatore. Come dicono i francesi, c’est l’argent qui fait la guerre. Una regola aurea (è il caso di dire) che vale anche in politica.