Simonetta Cesaroni: il colpevole si può ancora trovare. Le piste della macchia di sangue e dell’ora del delitto
Il 7 agosto 1990, Simonetta Cesaroni, 21 anni, venne trovata senza vita all’interno del suo ufficio di via Poma, a Roma. Il delitto avvenne a pochi passi dalla sede della Rai e in uno dei tanti palazzi signorili del quartiere Prati.
Fin da subito apparve chiaro che quella indagine non sarebbe stata facile. Gli errori investigativi ebbero un peso determinante nell’indagine. Piste mai battute, testimoni mai messi a confronto, autopsia incompleta. Neppure i cassonetti della spazzatura della zona vennero controllati nell’immediatezza del ritrovamento del cadavere. Nel corso di 32 anni il delitto di Simonetta ha racchiuso in sé piste sbagliate, errori nelle indagini, un lungo processo in tre gradi di giudizio e chiari depistaggi. Quello di via Poma è diventato così un mistero, anzi un mistero italiano.
Si riparte da una macchia di sangue sulla maniglia
Le certezze sono davvero poche nel delitto. E tra queste certezze ci sono le 29 coltellate sferrate contro Simonetta Cesaroni, come pure il luogo del delitto: l’ufficio del comitato regionale degli Ostelli della gioventù dove lavorava come contabile. Come riferisce Leggo, una macchia di sangue del gruppo “A positivo” trovata sulla maniglia di una porta sta per cambiare lo scenario del delitto di via Poma, quando fu uccisa Simonetta Cesaroni. Quella traccia ematica, dopo 32 anni, ora potrebbe essere associata a qualcuno degli indagati. La Procura capitolina ci sta lavorando. E a breve anche la commissione parlamentare antimafia aprirà un inchiesta per ripercorrere i depistaggi che vennero utilizzati per coprire i responsabili di uno dei cold case finora senza soluzione. Tutto avverrà, però, attraverso le sole carte d’indagine senza poter fare nuovi sopralluoghi di Polizia scientifica nell’appartamento dove avvenne l’omicidio. Infatti la scena del crimine del delitto Cesaroni è oramai diventata un “bed and breakfast” di lusso.
L’orario della morte di Simonetta Cesaroni va cambiato: salterebbero molti alibi
L’altra ipotesi investigativa è che le lancette dell’orologio andrebbero spostate indietro, nell’ora del delitto. Se invece delle 17.30 o giù di lì del 7 agosto 1990, Simonetta Cesaroni fosse stata uccisa un’ora prima, appena arrivata nell’ufficio degli Ostelli dove lavorava come segretaria, si sgretolerebbero gli alibi di molti protagonisti di questo caso.
Pochi giorni fa è morto Lucio Molinaro, avvocato storico della famiglia Cesaroni. Il legale, come ricostruisce Repubblica, aveva alcune certezze investigative. La prima: in pochi sapevano che Simonetta quel pomeriggio sarebbe stata sola nell’ufficio di via Poma. Molinaro non aveva mai dato troppo credito ad altre piste, seppur suggestive. Secondo lui il segreto di uno dei delitti più celebri d’Italia era da cercare dentro le mura dell’elegante palazzone giallo del quartiere Prati. Non altrove. Il secondo punto che Molinaro considerava decisivo era il momento del ritrovamento del cadavere di Simonetta. Prima di arrivare a via Poma infatti, la sera del 7 agosto, si perse un sacco di tempo prezioso. Tutto partì dalla preoccupazione della famiglia per lo strano ritardo della giovane. Tanto da chiedere aiuto al datore di lavoro, Salvatore Volponi, che incredibilmente disse di non sapere dove mandava la sua dipendente a lavorare due pomeriggi a settimana. Fino alla rocambolesca e lunga caccia all’indirizzo che sembrava celare una volontà precisa di ritardare la ricerca di Simonetta e l’arrivo di via Poma.