Zingaretti ammette che vuole candidarsi. Resta il nodo dimissioni: dipende dalle convenienze del Pd
È ufficiale: Nicola Zingaretti è in cerca di un posto in Parlamento. Dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi, è stato lui stesso a confermarlo stamattina in un’intervista a Radio anch’io, su Radio Rai, nella quale ha anche ricordato che, del resto, in Regione non potrebbe candidarsi più perché è già al secondo mandato. Dunque, ben venga una poltrona tra Montecitorio e Palazzo Madama.
Zingaretti: «Sono a disposizione del Pd»
«Dipende molto dal mio partito. Io sono a disposizione per un progetto politico, poi dipenderà dal gruppo dirigente del Pd, la mia consiliatura è finita perché dopo due mandati nel Lazio non ci si può ricandidare. E penso che due mandati per un presidente di Regione siano sufficienti, quindi occorre cambiare», ha risposto il governatore a una domanda su quali siano le sue intenzioni visto che il suo nome circola con insistenza per un ruolo di primo piano sulla politica nazionale.
Il nodo delle dimissioni: cosa succede se resta in carica fino all’elezione
«Sicuramente combatterò, strada per strada, nelle piazze, nei luoghi di vacanza per ridare speranza a questo Paese che è la mia gente, la mia comunità. Perché ora c’è bisogno di non uccidere la speranza di potercela fare», ha aggiunto Zingaretti, che di fatto si sente già in campagna elettorale. Regolamenti alla mano, potrebbe candidarsi restando governatore, poiché non esiste l’ineleggibilità. Se poi dovesse essere eletto, allora dovrebbe dimettersi, perché invece esiste l’incompatibilità tra i due ruoli. Dunque, qualsiasi fosse l’esito delle elezioni cadrebbe in piedi, con la non secondaria circostanza per il centrosinistra di poter contare su 90 giorni dalle dimissioni prima dell’indizione delle nuove elezioni, che quindi si svolgerebbero a inizio del 2023.
Cosa succede se Zingaretti si dimette all’annuncio della candidatura
I conti, insomma, in casa Pd li sanno fare. C’è però un nodo politico: essere candidato al Parlamento mentre è presidente di Regione in carica, benché consentito, potrebbe rappresentare un problema. E anche di questo in casa dem sono consapevoli. Dunque, da questo punto di vista, sarebbero più che opportune dimissioni contestuali all’annuncio della candidatura, ad agosto, che però vorrebbe dire votare verso novembre, ovvero molto a ridosso delle politiche e, dunque, con rischio concreto che il successo del centrodestra possa indebolire ancora di più il centrosinistra anche nelle urne laziali. Inoltre, il Pd, che si appresta a cancellare le primarie, ancora non ha risolto i tormenti su chi debba essere il candidato e vorrebbe dover evitare di andare a una faida prima delle politiche.
Il Pd lacerato tra opportunità e convenienza
Si leggeva sul Messaggero di sabato che l’intenzione di Zingaretti sarebbe quella di dimettersi ad agosto, con l’appoggio di una parte del Nazareno. «La candidatura di Nicola è decisiva in termini di voti per il partito: è tra le poche nel Lazio che può garantire un aumento dei consensi sia per vincere sia per impedire al centrodestra in caso di vittoria di raggiungere la maggioranza per governare. E quindi non può essere sporcata con illazioni di alcun tipo», sono state le parole di uno dei «maggiorenti dem» riportate dal Messaggero, che però ha anche riferito come «non tutti nel partito la pensano allo stesso modo e, per ragioni di opportunità, gli chiedono di aspettare per rinviare le Regionali al 2023». Si capisce, così, quel «molto dipende dal mio partito» pronunciato da Zingaretti a Radio Anch’io, nonostante sulla sua candidatura non pare ormai possano esserci più dubbi.