Fazzolari smaschera il fedelissimo di Giggino: ecco quando Di Stefano baciava la pantofola di Putin
In giorni di veleni e false accuse, con i 5S in prima linea accanto al Pd solerti nell’accendere fuochi di paglia e nel lanciare boomerang contro il centrodestra e Giorgia Meloni, il senatore FdI, Giovanbattista Fazzolari, smaschera l’ultimo bluff che investe Di Maio e il suo delfino Manlio Di Stefano, sottosegretario di Stato al Ministero degli affari Esteri nei governi Conte I e II e Draghi. Oltre che ex capogruppo del Movimento 5 Stelle, oggi approdato frettolosamente in Impegno Civico. E dopo questa, chi ancora dovesse provare ad accusare di filo-putinismo i partiti della coalizione di centrodestra. O sventolare il vessillo logoro, oltre che fake, di trame autarchiche e relazioni pericolose con Mosca, dovrà pensarci su due volte…
Il tweet di Fazzolari smaschera l’ex grillino Di Stefano
Si, perché a parte il fatto che da sempre simpatie sovietiche e ammiccamenti a Putin risiedono nei gangli connettivali del Pd e in alcune spore del M5S, non è un segreto per nessuno che le crepe venute giù nel M5S sono dovute anche anche alla spaccatura dei grillini tra chi sta con Putin e chi con Zelensky. Come dimostrato, una volta di più, il giorno dell’audizione del leader ucraino a Camere unite nel nostro Parlamento. Quando, per esempio, il deputato grillino Nicola Grimaldi, impegnato in prima linea, invocava la par condicio e auspicava che oltre al presidente ucraino Zelensky venisse “audito” in videoconferenza anche il presidente russo Putin. Sostenuto dagli immancabili proseliti pro-Mosca asserragliati tra le fila grilline…
La conversione (giravolta) di Di Stefano: da anti-Nato a euro-atlantista…
Certo, di acqua ne è passata sotto i ponti. E nel frattempo Manlio Di Stefano, fedelissimo di Giggino, è passato col titolare della Farnesina abbandonando il fu vascello corsaro del Movimento 5 Stelle. E ne consegue dunque che l’ex grillino aderisca alla svolta euroatlantica e moderata del suo ministro di riferimento. Ma se cambiare idea è lecito, stravolgere completamente il proprio modo di pensare è dubbio. Oltre che inquietante. Ed è qui che il tweet del senatore Fazzolari fa calare il sipario, pubblicando online la foto di Di Stefano volato a Mosca nel 2016 per rappresentare il Movimento 5 Stelle al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. Dove, peraltro, si è anche fatto immortalare con due big del movimento come Robert Shlegel e Sergey Zheleznyak.
«Questo è il sottosegretario Di Stefano che bacia la pantofola di Putin al congresso di Russia Unita»
«Questo è il sottosegretario Di Stefano che bacia la pantofola di Putin al congresso di Russia Unita – scrive Fazzolari su Twitter -: Ucraina Stato fallito, a Kiev un golpe, no alla Nato, il M5S amico della Russia. Parole mai rinnegate. Di Maio il chiacchierone non ha nulla da dire?»… Una vicinanza al Cremlino e un’ossessione anti-atlantista, quelle di Di Stefano, che ancora nel giugno scorso il Riformista sottolineava quanto fossero evidenti già «in occasione dell’invasione russa della Crimea». Con il sottosegretario dimaiano che «nel 2014 si era detto contrario alle sanzioni, parlando all’agenzia stampa Sputnik». E che a corredo di tutto chiedeva in un articolo di «ridiscutere la presenza dell’Italia nella Nato. Una tesi che per Di Maio oggi sarebbe una bestemmia». E ce ne sarebbe ancora e ancora. Ma può bastare.
E a proposito di accuse di filo-putinismo…
Del resto, è sotto gli occhi di tutti come in una campagna elettorale che la sinistra in panne sta trasformando in una caccia alle streghe stile ancien régime. Punteggiata da insulti grossolani, ideologizzazioni becere e strumentalizzazioni ridicole, gli scheletri nell’armadio prima o poi spuntano fuori. E in un attimo all’accusatore cade la maschera, e appare il volto reale del candidato e quelle che sono le sue effettive inclinazioni. Quelle lontane dalle frasi fatte e imparate a memoria da ripetere a favore di camera e microfoni. Quelle opposte agli slogan demagogici e ai tweet al vetriolo lanciati in rete dallo pseudo-giacobino di turno, nella speranza che qualche elettore abbocchi. E a smascheramento effettuato, poi, la toppa messa a coprire le vergogne, risulta anche peggio del buco che vuole andare a nascondere.