Gas, così la sinistra ci ha portato al disastro. Belpietro: «E vogliono pure dare lezioni»
Si parte dall’Enrico Letta allora presidente del consiglio, si passa per Carlo Calenda allora ministro del governo Renzi e per Nichi Vendola allora governatore della Puglia, e si ritorna a Enrico Letta, attuale segretario del Pd. Si chiude così il cerchio della sinistra che ha legato mani e piedi l’Italia alla dipendenza dal gas russo e che ora ha la pretesa di dettare soluzioni su come uscirne, cercando al contempo di far passare l’idea che la responsabilità di questa situazione gravi sul centrodestra. A smascherare oggi la sinistra e le sue colpe è Maurizio Belpietro con l’editoriale intitolato «Tutti i disastri della sinistra che adesso dà lezioni sul gas», nel quale ricostruisce attraverso nomi, date e circostanze come sono andate davvero le cose.
Le importazioni di gas russo lievitate con Letta a Palazzo Chigi
Il puzzle ricomposto da Belpietro ha come prima tessera il periodo in cui Letta risiedeva a Palazzo Chigi. Quando vi arrivò, ricorda il direttore de La Verità, «le forniture da Mosca rappresentavano all’incirca un quarto del totale e fino al 2010, quando il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, meno di un quinto. Sotto l’occhio benaugurante di Romano Prodi, che con Putin a quei tempi aveva un’intesa speciale, Letta lasciò che le importazioni di gas russo lievitassero fino a quasi rappresentare la metà del nostro fabbisogno». «Se dunque ci siamo ritrovati a febbraio esposti con oltre il 40% di metano comprato da Mosca – sottolinea Belpietro – lo dobbiamo al segretario del Pd, il quale nel 2014 fu l’unico leader europeo ad affrettarsi a correre a Sochi, sul Mar Nero, a baciare la pantofola a Putin. Salvo poi oggi accusare il centrodestra di tifare per lo zar del Cremlino».
Quando il ministro Calenda disse no al rigassificatore di Trieste
Dopo Letta, si passa a Calenda, il quale, «nonostante provi a fare il giglio immacolato», ha a sua volta «le sue colpe». «Quand’era ministro dello Sviluppo economico nel governo di Renzi – ricorda ancora Belpietro – fu lui a dire no al rigassificatore di Trieste», per il quale «gli spagnoli di Repsol erano pronti a investire 500 milioni». «Ma il leader di Azione, fresco di addio a Scelta civica di Mario Monti e pronto a iscriversi al Pd, disse no, dichiarando l’opera non strategica. Inutile dire che, subito dopo, la Regione guidata da Debora Serracchiani, attuale vice di Letta – prosegue il direttore – espresse parere negativo e il rigassificatore, insieme ai suoi 500 milioni, sfumò».
Lo stop di Vendola al rigassificatore di Brindisi
«Non andò meglio – si legge ancora nell’editoriale – con l’altro rigassificatore, quello di Brindisi. La British gas voleva investire un pacco di milioni e il governo, a quel tempo guidato da Berlusconi, diede il via libera. Peccato che la Regione presieduta da Nichi Vendola, e la Provincia pure a guida sinistra, si misero di traverso. Risultato, nel 2012, dopo 11 anni di attesa e 250 milioni spesi, gli inglesi fecero le valigie».
Il Pd vuole dare lezioni, ma non ha soluzioni
E arriviamo così ai giorni nostri e a una crisi rispetto alla quale il Pd non ha sono responsabilità passate, ma anche imperizie presenti. Belpietro, infatti, sottolinea la debolezza delle due proposte dem per affrontarla: la tassa sugli extraprofitti e il tetto europeo al prezzo del gas. «La prima pensata è fallita ancor prima di cominciare, prova ne sia che avendola introdotta con una stima di un gettito pari a 10 miliardi, ora il governo Draghi si è reso conto di aver incassato solo 900 milioni», ha ricordato Belpietro.
Altro che pacchetto europeo, qui sul gas c’è solo il pacco dem agli italiani
Quanto alla seconda il problema è che il Pd «insiste su un generico tetto al prezzo del gas senza dire l’unica cosa che avrebbe senso, ovvero che se i nostri partner europei vogliono combattere una battaglia in nome della libertà, devono pagare, non guadagnarci», scrive Belpietro, facendo riferimento alle resistenze di Paesi come l’Olanda che in questa crisi ci stanno guadagnando e rispetto ai quali l’arrendevole europeismo dem non riesce ad adottare la necessaria fermezza. Insomma, conclude Belpietro, «l’unico pacchetto fra i tanti approvati in Europa è il pacco che chi oggi si candida a risolvere i problemi ha rifilato agli italiani».