Sindrome Nimby e memoria corta: quando Calenda stoppò il rigassificatore di Trieste

30 Ago 2022 16:30 - di Francesca De Ambra
Calenda

Uno lo sente e pensa che nessuno più di lui abbia idee chiare sul da farsi per affrancarci dal gas russo. Fateci caso, appena il tema della nostra dipendenza da Gazprom fa capolino, Carlo Calenda (è di lui che scriviamo) salta su e impartisce lezioni sull’intero scibile energetico, dal nucleare pulito alle rinnovabili, passando per fonti fossili e metano. Sul punto l’ex-ministro si sente inattaccabile. Anzi, a dirla tutta, l’argomento è di quelli che gli fanno prudere le mani. Prendete il caso di Piombino: a detta degli esperti, per questioni tecnico-logistiche che non stiamo qui a sindacare, il suo porto sarebbe l’ideale per allocarvi il rigassificatore. Ma per cittadini e sindaco (Fratelli d’Italia) quella nave che pompa gas nelle condotte è una bomba in mezzo al loro mare.

Sull’energia Calenda non è senza peccato

Un’opposizione che per Calenda è manna dal cielo. La prova che anche la destra è ostaggio di quella sindrome Nimby (tradotto: non nel mio giardino) che per molti è il vero ostacolo all’ammodernamento del sistema-Paese e, di conseguenza, la causa prima della nostra arretratezza infrastrutturale. Morale: sull’energia solo il terzo polo (Calenda+Renzi) fa sul serio perché è l’unico che non si lascia imbrigliare da veti territoriali. Magari fosse vero. In realtà, neppure il leader di Azione può scagliare l’evangelica prima pietra perché neanche lui è senza peccato. E sì, perché c’è stato un tempo in cui fu proprio lui ad opporre un rotondo “no” ad un rigassificatore, quello di Zaule per l’esattezza, alle porte di Trieste.

Da ministro disse “no” ad un impianto in Venezia Giulia

Correva l’anno 2016 e, ai primi di giugno, Calenda – all’epoca ministro dello Sviluppo – ingiunse alla catalana Gas Natural di togliere il disturbo. «La realizzazione di questa infrastruttura esce dall’agenda di governo», sentenziò. Motivo? «Non è un’opera strategica». La solita scusa. Più verosimilmente, decise togliere le castagne dal fuoco all’attuale capogruppo dei deputati del Pd Debora Serracchiani, allora governatrice del Friuli Venezia Giulia. Insomma, un inchino alla deprecata sindrome Nimby. Certo, allora non c’era l’agenda-Draghi e la guerra tra Russia e Ucraina era di là da venire. Ma Calenda c’era e c’è. Ed è lo stesso che assesta fendenti a destra e a manca accusando tutti di non essersi accorti di quanto, veto dopo veto, l’Italia diventasse  sempre più dipendente da Putin e dal suo gas. Bene, ora sappiamo che un posto tra i “distratti” spetta di diritto anche a lui.

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