Cirinnà e Pillon fuori dal parlamento: i destini incrociati degli opposti “pasionari” dei diritti
Sono stati le voci più radicali di due fronti contrapposti: da un lato la pasdaran dei diritti Lgbt, che perfino nella giornata del voto ha polemizzato sulla tradizionale divisione degli elenchi elettorali in uomini e donne, dall’altro il paladino delle battaglie anti-gender, citate anche nella foto di rito davanti al seggio. Entrambi, Monica Cirinnà e Simone Pillon non ce l’hanno fatta.
Pillon: «Il mio seggio non è scattato, ma io non mi arrendo»
Pillon era candidato per la Lega in seconda posizione nel plurinominale al Senato in Umbria. Il suo seggio, come riferito da lui stesso con un tweet «non è scattato». «Buongiorno! Il centrodestra ha vinto e questa è una gran notizia. Il mio seggio non è scattato, ma io non mi arrendo. Resto a disposizione della Lega e del centrodestra e continuerò a difendere la vita, la famiglia e i valori cristiani dove e come Dio vorrà. Avanti con coraggio!», ha scritto l’ormai ex senatore, postando una foto che lo vede comunque sorridente, assertivo e sereno come le sue parole.
Il rammarico della comunità Lgbt per Cirinnà (che tace)
A metà mattina nessuna dichiarazione è ancora giunta, invece, da Cirinnà, che, sempre al Senato, ha perso nel collegio uninominale Lazio 1, contro la candidata di FdI Ester Mieli che rappresentava il centrodestra. A commentare invece è stato il sito gay.it, per il quale «con l’uscita di Monica Cirinnà dal Parlamento la comunità Lgbtq+ perde un’alleata, un’amica, un’attivista, che si è sempre spesa per i diritti, scontrandosi apertamente anche con il proprio partito, scendendo raramente a compromessi».
La riflessione sul tema dei diritti
La sconfitta di Cirinnà e Pillon, pur dovendo necessariamente essere inquadrata nel risultato complessivo dei rispettivi partiti, sembra restituire un dato politico e un elemento di riflessione sul tema dei diritti. Entrambi, nella loro storia politica, lo hanno polarizzato più di altri, finendo spesso su terreno di uno scontro acuto che non ha mai giovato al dibattito. Si tratta di una questione che interroga principalmente la sinistra, che tanto ha continuato a puntare su questo approccio anche in campagna elettorale, sebbene avesse relegato la pasionaria Lgbt in un collegio così incerto da spingerla a una pubblica recriminazione e all’iniziale, poi ritrattato, rifiuto di accettare. Sorge così legittimo il sospetto che la scelta fosse stata dettata più da altre valutazioni che da una accorta riflessione politica sull’opportunità di proseguire su quel crinale.