Di Maio: «Il centrodestra è sfasciaconti». Lui, invece, ha abolito la povertà: la sua
In un Paese appena appena serio uno come Luigi Di Maio camminerebbe rasentando i muri per paura di essere riconosciuto. In Italia, invece, giornalisti ed opinionisti lo riveriscono come un oracolo consentendogli persino di sputare sentenze e di tranciare giudizi. Parliamo di uno cui non basterebbe un’enciclopedia per raccogliere tutte le supercazzole, per quanto pronunciate in grisaglia d’ordinanza e con aria di sussiego. Ecco, in questa Italia non stupisce nessuno che un Di Maio così se ne vada in giro a a bollare come «trio sfasciaconti» Meloni, Salvini e Berlusconi e a giocare al piccolo statista dicendo che con il centrodestra al governo, «più che un rischio democrazia» lui vede un «rischio default».
Da Di Maio attacco a Meloni, Salvini e Berlusconi
Accipicchia! Detto da quello che dal balcone urlò di aver «abolito la povertà» fa un certo effetto. Tanto più che la misura che l’avrebbe cancellata – il reddito di cittadinanza – ha fallito proprio laddove eravamo ansiosi di sperimentarne i miracolosi effetti: accompagnare gli inoccupati al lavoro. Invece, li ha fatti solo accomodare sul divano di casa. E per di più, a spese del contribuente. Un colpaccio, soprattutto per i conti pubblici. Peccato per Di Maio che a raccogliere i frutti della gigantesca operazione di voto di scambio sia il suo ex-Movimento, lo stesso che ora tenta di svilire come il «partito di Conte». Beghe loro.
Nel 2013 aveva dichiarato zero euro
Tuttavia è impossibile non rimarcare che mentre il M5S di Giuseppi risale nei sondaggi, l’Impegno Civico di Giggino vi si vada inabissando: appena lo 0,9 per cento. Un po’ poco per coltivare ambizioni di una certa grandezza, le stesse cui Di Maio si è presto abituato. Ma oggi il vero obiettivo è tornare nel Parlamento formato bonsai. E a meno di clamorose sorprese, non dovrebbe mancarlo: infatti, a differenza dei 60 gonzi che lo hanno seguito nella scissione, il collegio piazzato lo ha ottenuto. E in questo una certa coerenza gli va riconosciuta: almeno la povertà personale (nel 2013, anno della prima elezione alla Camera aveva dichiarato zero euro), Giggino l’ha davvero abolita.