Facebook, manifesti taroccati di FdI: nessuno li rimuove. Delmastro: «Una vicenda da chiarire»

22 Set 2022 16:50 - di Girolamo Fragalà
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Fine Agosto, piena campagna elettorale. Su Facebook circola un post sponsorizzato, che fa 400.000 visualizzazioni. Sembra identico a quelli della campagna di Fratelli d’Italia, viso della Meloni, colore di fondo, scritte, solo che invece dello slogan “Pronti a risollevare l’Italia”, riporta “Pronti a cancellare l’aborto”. Una mistificazione, un falso volto a confondere i lettori più distratti, facendo pensare che la Meloni stesse proponendo qualcosa che non è mai nemmeno lontanamente passato nei suoi pensieri.

Facebook e il profilo “Difendiamo le Unioni Civili”

Nella sezione “trasparenza” del profilo Facebook della sedicente “Difendiamo le Unioni Civili” (un’associazione? forse, ma non esiste un registro dove verificarlo); importo incassato da Facebook, circa 850 euro, un numero di telefono a cui non risponde nessuno e un indirizzo, al cui citofono nessuna targhetta riporta questa sigla. Nessuna possibilità di individuare l’autore e il diffusore del post.

La diffida presentata dall’avvocato Marini

Inizialmente l’Avv. Francesco Saverio Marini diffida Facebook Italia, chiedendo di rimuovere immediatamente il post e di non pubblicare altri post di contenuto analogo e similare. Inoltre chiede i dati e le generalità dell’autore del post. Analogo reclamo viene inviato con la procedura telematica prevista dal sito del Social. Ma nessuno si degna di rispondere. Unica alternativa affidarsi alla giustizia, con una procedura d’urgenza, in quanto mancano sempre meno giorni al voto.

L’udienza e la società Meta Platforms Ireland ltd

All’udienza Facebook Italia si presenta (ma non poteva rispondere alla Pec di diffida, risparmiando il tempo del tribunale?), ma si trincera dietro una “scusa”: la sua funzione sarebbe quella di raccogliere le “inserzioni” pubblicitarie di terzi soggetti, senza alcun potere di intervento sulle pagine del social network (come se quel post non sia, di fatto, una pubblicità). La sola legittimata, autorizzata e in grado concretamente di gestire i contenuti delle pagine Facebook sarebbe la società Meta Platforms Ireland ltd. Praticamente una confusione di ruoli e di carte, il cui unico risultato è di impedire di sapere con chiarezza chi ti insulta o ti diffama.

Oltre il danno, anche la beffa

Per il giudice si poneva pertanto – considerata l’evidente urgenza di provvedere  – il problema del se e del come tale ostacolo potesse essere rimosso o superato. FdI ha tentato di suggerire una via d’uscita prevista dal codice e cioè concedere la tutela in attesa della convocazione dell’altra società del Gruppo Facebook (che ha sede a Dublino). Tuttavia, il giudice ha sbrigativamente e incomprensibilmente negato ogni forma di tutela tempestiva. Ed infine ha condannato Fdi alle spese di processo (il doppio di quelle applicabili, ma sarà stata una distrazione). Il danno e la beffa.

Facebook, l’interrogazione di Andrea Delmastro 

Sulla vicenda è intervenuto l’on. Andrea Delmastro, presidente della Giunta per le Elezioni alla Camera dei Deputati. In un’interrogazione parlamentare ha chiesto di capire se un sistema di cavilli burocratici possa schermare le responsabilità di Facebook e di chi interferisce nelle campagne elettorali. Ma c’è dell’altro. Sui social gira un tweet che, come firma, porta quella di Francesco Crisafulli, il giudice del Tribunale di Roma. Sempre Delmastro, nell’interrogazione, vuol sapere se il  profilo sia il suo o se si tratti di una clamorosa omonimia. Nel tweet è scritto testualmente – in merito al mancato accordo tra Pd e Calenda: «Peccato Calenda, siete meno liberal-democratici, meno europeisti e meno seri di quanto pensassi. Crollo di stima per chi non valuta neppure un’alleanza dei responsabili contro i pazzi. Per fortuna, se l’alleanza ci sarà, la vostra assenza non verrà notata». In sostanza, i “pazzi” sarebbero gli esponenti del centrodestra.

Verificare se si tratti o meno di un caso di omonimia

«Ripeto, se non fosse un clamoroso caso di omonimia sarebbe un fatto gravissimo», puntualizza Delmastro. «Perciò ritengo che occorra verificare il suo profilo sia quello del giudice. Se fosse vero, Crisafulli avrebbe dovuto astenersi per opportunità. Chiunque abbia un minimo di senno non avrebbe ma scritto quel giudizio».

Chiarire tutti i punti

Quindi occorre chiarire. «Giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 51 del cpc, il giudice deve astenersi in tutti i giudizi in cui esistono gravi ragioni di covenienza», si legge nell’interrogazione. «A giudizio dell’interrogante, il giudice – in caso il profilo fosse il suo – avrebbe tutto l’interesse al fallimento elettorale di quel partito da definito di “pazzi”; in tali casi, appare necessaria un’opera di controllo in merito al corretto funzionamento degli uffici giudiziari, affinché le decisioni prese non siano falsate da intenti personali di chi vi opera». Quindi Delmastro chiede se si intenda in ogni caso condividere con gli Uffici Giudiziari un protocollo delle migliori pratiche in ordine ai casi di astensione discrezionale, al fine di avere un quadro omogeneo su tutti gli uffici giudiziari, al fine di scongiurare scelte a macchia di leopardo che possano alimentare dubbi sulla corretta applicazione dei principi di astensione».

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