Femministe in piazza. Non per le donne iraniane ma contro Giorgia Meloni e il modello Dio-Patria-famiglia
Le femministe scendono in piazza. Per le donne iraniane? No, contro la vittoria di Giorgia Meloni. Un fatto esilarante e drammatico nello stesso tempo. Esilarante perché questo spezzone di mondo della sinistra, incurante del messaggio che è arrivato dagli italiani e dalle italiane, persegue fanaticamente il racconto della “Meloni cattiva” che vuole togliere il diritto all’aborto. Drammatico perché questa gente non rispetta libere elezioni democratiche. E così con l’appello alla mobilitazione di “Non una di meno” (le stesse che avevano parlato di centinaia di alpini stupratori a Rimini) hanno in varie città dato vita ai primi cortei contro il governo Meloni che ancora deve nascere. La scelta del 28 settembre non è stata casuale: si tratta della giornata per il diritto all’aborto libero e sicuro. Scelta che in Italia nessuno ha mai messo in discussione.
Nei loro cortei le femministe contestano il modello Dio-patria-famiglia. Lo spiega Il Manifesto, gongolando per il risveglio delle piazze “resistenti”: “Dio, patria, famiglia? No, grazie. Non Una Di Meno ha intenzione di rispedire al mittente il modello di società che ha in testa Giorgia Meloni. Da subito. Non è un caso che la prima mobilitazione nazionale dopo la vittoria delle destre sia del movimento femminista, che da sei anni riempie le piazze e si batte per la conquista di nuovi diritti di donne e persone lgbtqi+”. Sono scese in piazza in 17 città. Roma, Torino, Milano, Verona, Bologna, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e molte altre. Tutte fiere di uno slogan contro la prima donna che potrebbe essere premier in Italia: “Meloni non cantar vittoria, ti cacceremo fuori dalla storia”.
L’iniziativa ha ricevuto gli applausi del Pd. E in piazza a Torino tra le manifestanti si è fatta viva anche Chiara Appendino, che ha sostenuto di essere preoccupata perché il Paese non guarda avanti e bisogna avere garanzie su una legge, la 194, che purtroppo non viene attuata. E così anche lei – che un tempo diceva di credere nella complementarietà – si adegua, da neodeputata, alla svolta a sinistra impressa da Giuseppe Conte al Movimento.