Il capolavoro politico di Giorgia Meloni: una destra adulta e aggregatrice
Concluso il rito delle urne e acquisito il consenso del corpo elettorale, Giorgia Meloni passerà nei prossimi giorni dallo spazio scenico di leader vittoriosa a quello di presidente incaricato di formare il nuovo governo. Com’è naturale, i commentatori si dedicheranno alla costituzione dell’esecutivo e alla figura del futuro presidente del Consiglio che incide in modo profondo e innovativo la storia d’Italia. Il che è si giustifica, oltre che con gli obblighi della cronaca, con la prima volta di una donna premier e di un premier di destra: due “prime” che segneranno la vita della nostra Repubblica. E che, inevitabilmente, portano con sé un carico di emozioni ed aspettative, insieme a qualche preoccupazione destinato presto a svanire. Fino ad allora, qualche considerazione il voto la merita, prima che il discorso pubblico elettorale si chiuda.
Meloni e la destra: la fine di un teorema
Una valutazione la ritengo prioritaria: il centrodestra vince, con una destra che guida la coalizione: una forza politica diventata adulta, non più minore e minoritaria, nell’alleanza che torna al governo. Non è quindi vero che il centrodestra convince la società e vince le elezioni, solo se si dà una guida “moderata”: cioè centrista o, al più “liberale”, nel suo significato riduttivo. È un dogma erroneo su cui gli addetti ai lavori si sono esercitati per anni. I risultati delle elezioni collocano anche questo teorema nel museo delle antichità politiche. E la performance, insoddisfacente per gli stessi promotori, della lista intitolata ai “Moderati” ne offre una visiva conferma. La verità ? La destra italiana è cresciuta: nella progettualità, nella rappresentanza sociale, nella percezione comune; si è evoluta. La sintesi è data dal “nomen” che la Meloni ha dato a Fdi: “conservatori”, congiunto ad “europei”. Che nella tavola delle famiglie politiche marca differenze da “populista, “sovranista” o “nazionalista”. E ancor più da “post-fascista”: evidente forzatura, più da propaganda estrema che da normale dialettica politica.
Il risultato-simbolo di Stazzema
Lo dimostra, peraltro, un piccolo ma simbolico fatto locale: a Stazzema – il comune toscano insignito della medaglia d’oro per la guerra di Liberazione, dove nella frazione S. Anna si consumò uno degli eccidi più efferati della repressione nazista – Fdi è il primo partito, con più del 30 per cento dei consensi; oltre la stessa media nazionale di un elettore su quattro che ha creduto alla visione dell’Italia contemporanea proposta da Giorgia Meloni, non al “passato che non passa” solo nella testa di avversari che vogliono essere nemici; dai quali resta lontana la stragrande maggioranza della società italiana col suo scorrere di generazioni impermeabili all’uso politico della storia e alla riproposizione, fuori dal tempo, di tragiche divisioni: un rimanere a “ieri” che, nel mondo di oggi, non incrocia il senso comune. Il quale resta indifferente anche al vocabolario spaventevole di parte dello spezzettato schieramento anti-Meloni. E, ancor più, alle improvvide ingerenze di qualche leadership di istituzioni straniere a ciò sollecitata e imbeccata.
Meloni e la destra: Giorgia rimette in circolo il valore della coerenza
Ma – seconda riflessione – c’è di più: la fiducia diffusa in Giorgia Meloni ha fatto guardare allo specchio gli stessi italiani. I quali, dopo il voto, si scoprono migliori di quanto certi stereotipi “culturali” ed estetici hanno reso luoghi comuni: giudizi ingenerosi con noi stessi che ci descriviamo e ci facciamo descrivere come cinici, trasformisti, opportunisti. Giorgia ha rivelato ai suoi connazionali – a tutti, non solo all’uno su quattro che l’ha votata – l’idealità della coerenza. Il suo valore. Predicato e vissuto. Lo ha rimesso in circolo come sentimento popolare. Premiato e assurto a virtù presente nella nostra biografia collettiva. E lo interpreta nella società politica, da prossimo capo del governo. Il che è tutt’altro che trascurabile per quanti, oltre le appartenenze, credono nelle “altezze”, oltre che nella razionalità della politica.
Meloni e la destra: capacità di coalizione e semplificazione della politica
Il terzo dato: la destra parlamentare ha sviluppato grande “capacità coalizionale”: ruolo e abilità che prima erano impersonati da Silvio Berlusconi (che ha dimostrato di conservarne un residuo, ma attivissimo “istinto”). La vera forza della Meloni è stata di fare del suo partito un soggetto politico aggregatore, accorto ed aperto con gli alleati, ai quali ha lasciato spazi e e seggi ben superiori alle loro effettive produzioni elettorali; ma così ha assicurato un equilibrio interno che ha dato coesione e credibilità alle aspirazioni di successo del centrodestra unito. E nel “dopo” ha fornito a Salvini, elementi per calmierare il ribollire intestino della Lega messa in agitazione dalla percentuale elettorale ad una cifra. Una vocazione alla mediazione, quella della leader di Fdi, insospettata e sconosciuta ai più: l’opposto della radicalita, pezzo eminente del campionario che ha provato a cucirle addosso la concentrazione politico-mediatica progressista.
Si è razionalizzato il quadro politico
C’è un’ultima notazione da fare. Con la vittoria del centrodestra, non solo si è tornati all’idea dei governi espressi dal popolo, ma si è semplificato il quadro politico. Dopo l’esperienza del governo Draghi, ci ritroviamo, il giorno dopo le elezioni – secondo la nota classificazione di Sartori – in una democrazia a “pluralismo moderato”, con una tendenza bipolare, dove i partiti che “contano” non sono superiori a cinque. Questa razionalizzazione è stata provocata dal centrodestra unito. È mancato un uguale e contrario contributo della “rive gauche”. Ma questa è la ragione essenziale della sua sconfitta, su cui già da subito è chiamata a riflettere, ripensando se stessa.