Il piano di Orlando per andare al governo anche perdendo divide il Pd in due fazioni: “Scontro esiziale”
Il Pd è una pentola in ebollizione. Il primo pronto ad esplodere contro il segretario Letta e a chiedergli il conto di una campagna elettorale fallimentare è Andrea Orlando, portavoce dell’ala più a sinistra dei dem. Pertanto non pensa tanto al voto del 25 settembre. Per il ministro del Lavoro, come per la maggior parte dei “democratici”, il voto popolare è talmente una formalità fastidiosa, che pensano subito al “dopo”, a una modalità per come aggirarlo. Per provare di nuovo ad andare al governo da perdenti. E Orlando ha già la sua idea: «un campo largo, dal terzo polo ai 5stelle, si può realizzare in una maggioranza di governo dopo il voto». Praticamente una grande grandissima ammucchiata per ribaltare il risultato delle urne. Rimettendo insieme una maionese già abbondantemente impazzita. Bastonati dal voto popolare – come si presume dai sondaggi e al netto di una forbice che solo il voto sancirà- ecco farsi largo le vie traverse per arrivare al potere ugualmente.
Orlando contro Letta: le due fazioni del Pd
Come dimenticare in un sol giorno – presumibilmente il 26 dicembre- le botte da orbi, i colpi bassi tra Calenda e Conte, quelli di Conte verso Letta, Calenda che “bullizza” il segretario dem ogni ora. Facce toste. Orlando, come leggiamo nel retroscena della Stampa, visto che il lancio del “voto utile” (quello al Pd) non decolla, “nelle conversazioni con i suoi colleghi, ha fissato la sua strategia, contraria a quella di Letta. “Nel caso si realizzasse la sconfitta annunciata dai sondaggi, Orlando – come anche Dario Franceschini – garantisce che non chiederà una defenestrazione di Letta. In realtà pensa più in grande: «Ma se ci troviamo con quelli al governo, ci mettiamo a fare le primarie per il segretario?», ha detto il ministro in recenti interviste. E se un congresso sarà d’obbligo, «ci sarà da discutere su come farlo.
Pd, la mossa di Orlando e la sinistra dem
A quel punto andrebbe organizzato un evento rifondativo del campo progressista. Non un congresso del Pd per scegliere un nuovo segretario, magari tra tesi contrapposte: tra chi vuole allearsi con Calenda e chi con i 5Stelle. Quella sarebbe una manifestazione di subalternità e sarebbe il modo per far estinguere il Pd. Bisognerebbe invece interrogarsi più a fondo su cosa fa e dove va la sinistra in Europa o nel mondo». Il Ministro del Lavoro preferisce direttamente ragionare in un’ottica proporzionale: parlando di una coalizione “de facto” già esistente con Pd, 5 Stelle e Terzo Polo. Va detto che l’elettore, di fronte alla prospettiva Orlando potrebbe essere indotto a non votare né Calenda né Conte, né il Pd. E infatti l’ex premier a capo dei cinquestelle a Tg1 Mattina si è già smarcato dalle parole di Orlando: “Fanno i conti senza l’oste. Questi vertici Pd avevano un dialogo con il M5s, che noi confidavamo esser condotto su una prospettiva di pari dignità e di rispetto reciproco. È stata fatta una scelta, hanno tentato di tutto pur di gettare via l’esperienza del M5S. È chiaro che il dialogo con loro è chiuso”.
Sinistra dem con Provenzano, riformisti con Bonaccini
Il destino del Pd è appeso a un filo. “Sono in molti a temere uno scontro esiziale se si celebrasse un congresso tra due fazioni contrapposte: tra la sinistra dem con Provenzano candidato e i riformisti con Bonaccini. Al Nazareno – leggiamo nel retroscena della Stampa- nessuno dà per scontato che Letta si dimetterà in caso di sconfitta; e tantomeno un congresso anticipato. Ma tra i parlamentari dem, circola la preoccupazione che la sinistra del partito possa meditare di staccarsi dalla casa madre. Verso lidi più di sinistra, magari in combutta con Conte per una «cosa rossa» nel segno di Mélenchon; patrocinata magari da personalità come Goffredo Bettini e da Speranza, Bersani e compagni”.
La fine del Pd per come lo abbiamo conosciuto
Quello che queste elezioni potrebbero sancire è la fine del Pd per come lo abbiamo conosciuto. Se l’uscita dei renziani non ha provocato stravolgimenti significativi, ora invece per molti elettori alcune delle parole d’ordine programmatiche dei dem come “salario minimo, transizione ecologica e agenda progressista” sembrano più accostabili ad altri partiti, come quello di “vera sinistra” del M5S. Orlando, Franceschini e altri big hanno già blindato Letta, a parole, a prescindere dal risultato elettorale, ma nella realtà dei fatti il segretario è tutt’altro che intoccabile.