La medica, la notaia, la soldata. La rivoluzione “gender” della Treccani è un omicidio della lingua italiana
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Non sono per nulla d’accordo. Lo dico subito, a scanso di equivoci. La lingua, certamente in evoluzione, non può però essere stravolta da una questione prettamente ideologica. Così la ritengo. La questione di genere che per anni ha spinto anche sulle forme linguistiche declinate al femminile, assesta un colpo alla lingua italiana, lo fa con la decisione della Treccani di produrre il primo ‘Dizionario della lingua italiana’ che lemmatizza anche le forme femminili di nomi e aggettivi tradizionalmente registrati solo al maschile. Non è una questione di genere, che certamente merita tutta l’attenzione della società civile, ma la lingua ed il linguaggio, per quanto necessario possa essere modernizzarlo, adattandosi al tempo, rimane un punto fermo della cultura di un popolo, di una nazione.
Dunque, ci siamo. Architetta, notaia, medica, soldata, chirurga. Treccani nel primo ‘Dizionario della lingua italiana’ che lemmatizza anche le forme femminili di nomi e aggettivi tradizionalmente registrati solo al maschile, sdogana la questione di genere. Dall’’Istituto della Enciclopedia Italiana si affrettano a precisare che il loro intento è di abbandonare il ‘vocabolariese’, per fare la ‘cronaca’ di una lingua in continua evoluzione, facendosi promotori di inclusività e parità di genere. Ma Treccani fa anche di più. Riconosce nel nuovo linguaggio i neologismi distanziamento sociale, lockdown, smart-working, dad, infodemia, lavoro agile, reddito di cittadinanza, rider, termoscanner, terrapiattismo e transfobia.
Un colpo ben assestato alla bellezza della lingua italiana. L’edizione 2022 de Il Vocabolario Treccani, spiegano, è “un progetto ambizioso e rivoluzionario, nel quale tradizione e progresso si fondono per testimoniare i cambiamenti socio-culturali del nostro Paese e riconoscere – validandole – nuove sfumature, definizioni e accezioni in grado di rappresentare e raccontare al meglio la realtà e l’attualità, attraverso le parole che utilizziamo per viverla e descriverla”. Quel “validandole” è l’arma del delitto. Cambia per sempre la lessicografia italiana e non posso essere in alcun modo d’accordo con Treccani che definiscono questa scelta una rivoluzione che riflette e fissa su carta la necessità e l’urgenza di un cambiamento che promuova l’inclusività e la parità di genere, a partire dalla lingua. Cercando il significato di un aggettivo come ‘bello’ o ‘adatto’ troveremo quindi lemmatizzata, ovvero registrata e quindi visualizzata in grassetto, anche la sua forma femminile, seguendo sempre l’ordine alfabetico; bella, bello; adatta, adatto. E per la prima volta vedremo registrati dei nomi identificativi di professioni che, per tradizione androcentrica, finora non avevano un’autonomia lessicale: notaia, chirurga, medica, soldata.
Per eliminare anche gli stereotipi di genere, secondo i quali a cucinare o a stirare è immancabilmente la donna, mentre a dirigere un ufficio o a leggere un quotidiano è puntualmente l’uomo, Treccani propone nuovi esempi di utilizzo e contestualizzazione ed evidenzia il carattere offensivo di tutte le parole e di tutti i modi di dire che possono essere lesivi della dignità di ogni persona. Mi voglio ripetere, la questione di genere merita certamente tutto l’interesse della società civile, con un cambio radicale del nostro agire. Ma la lingua in tutto questo non può e non deve entrarci. Cambiare, modificare il rapporto e l’equilibrio tra i sessi, nel mondo delle professioni, nel vivere quotidiano, necessita di ben altre azioni di rivoluzione culturale nel nostro Paese. Quella sulla lingua, a mio modesto avviso è solo un “concorso in omicidio” scegliendo l’arma del delitto “validando” l’uso di: notaia, chirurga, medica, soldata.