Meloni e l’Europa: tutte le volte che la sinistra ha criticato Bruxelles. Allora, che volete da Giorgia?
Certo che ha ragione Giorgia Meloni. Non ha bisogno di patenti da Bruxelles per guidare l’Italia. Le basta quella che il corpo elettorale rilascia a chiunque riceva il suo consenso: l’exequatur a governare lo concede il “demos” politico che agisce in quel Collegio dove – sostiene Emilio Gentile – si manifesta la “corporizzazione del popolo sovrano nelle persone degli elettori, almeno al momento del voto”. Ma questo é “in re ipsa”. Claudio Cerasa – a parte l’augurio finale, così poco canonico da sembrare sarcastico (“in bocca al lupo, segretario”) – si spende in un’analisi attenta delle inesorabili ragioni del perché la Meloni batte Letta. Ineccepibile. E tutt’altro che banale. Ma la sua notazione sull’Europa non sì può condividere. E non solo per l’infortunio di Enrico sulla Polonia, indicata a modello negativo di Giorgia, mentre assolve al compito di nazione più esposta negli aiuti armati all’Ucraina: il direttore del Foglio, schierato sul Pd – ma contapassi attento della Meloni – ricade nello stesso errore del capo dem.
C’è una tradizione di sinistra critica con Bruxelles
È soprattutto quel suo “un conto é volere un’Europa dominata dai governi (sovranismo nazionalista modello Meloni); e un conto é un’Europa dominata dalle istituzioni (sovranismo europeista modello Draghi)” a fallare: il caso polacco cos’è, se non la cifra riuscita di solidarietà tra istituzioni e stati d’Europa in un frangente storico drammatico ? E il mancato accordo, ad oggi, sull’emergenza energetica non é il suo contrario ? Diciamoci la verità: c’è, perché c’è, ancora una residua, ingiustificata riserva mentale contro la leader di Fdi. Destinata a sciogliersi presto, nel post-elezioni. Ma, intanto c’è. Lo dimostra un versante abbastanza trascurato dagli analisti politici, che si può dire così: c’è una tradizione nazionale, bipartisan, anche recente, di critica dell’Italia alle istituzioni comunitarie? C’è un particolare contributo dei progressisti a questo filone ? Sì o no ? C’è, c’è. Ed é andata oltre, molto oltre, la critica “conservative” – temperata e legittima – della candidata del centrodestra alla premiership.
Meloni e l’Europa
Per capire un “tòpos” politico, spesso devi guardare al suo estremo; a “destra” della destra parlamentare c’è una formazione che potrebbe entrare in Parlamento: si chiama “Italexit”. Lo spazio e la “forma”della contestazione radicale si raggruma lì. Gli addebiti della Meloni sono altra questione. E si iscrivono, senza fuoriuscirne, nella tradizione italiana – oltre la destra e la sinistra – di tollerata critica: non ha mai impensierito né Bruxelles, né i sinceri europeisti. Sono appunti dentro i binari di una contestazione misurata. Perché ? Come, perché ? Cavolo, siamo già all’annullamento della memoria comune ? La politica italiana vuole davvero assumere gli umori dell’animale “che dimentica immediatamente e che vede davvero ogni attimo morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, estinguersi per sempre”, come ammonisce il Filosofo col Martello ?
Quando Renzi premier fece togliere la bandiera europea
A sinistra, il Pd ha generato un governo che di critiche alle istituzioni europee ne ha accumulate. Altro che Giulio Tremonti. A capo di quell’esecutivo, Matteo Renzi, osò il massimo oltraggio, senza precedenti: cacciò la bandiera europea dalla comunicazione ufficiale del governo della Repubblica. La tolse proprio. Sì, Renzi, Renzi. Ricordate, adesso ? Voleva vincere il “suo” referendum di cambio della Costituzione, così. Facendo l’anti-europeo. E dando un dolore fortissimo al povero Romano Prodi: “mi ha preso male al cuore, perché noi abbiamo questa doppia identità, italiana ed europea”, disse l’ex capo della Commissione Ue. Arrivando all’aperta irrisione di Matteo:”Forse sono cattivo di animo ma mi viene da dire… mettiamo il giglio fiorentino accanto al tricolore italiano”. Era il 2016.
Prodi e Napolitano
Ma pochi anni prima era stato lo stesso Prodi a suscitare un vespaio: “So molto bene che il patto di stabilità è stupido, come tutte le decisioni rigide”, disse a Le Monde. Parlò più da italiano che da leader europeo, si disse. Neppure Napolitano, da capo dello Stato, risparmiò l’Unione da biasimi pesanti: lamentò “uno stato insoddisfacente dell’Unione Europea come soggetto di politica internazionale”; mise in grande imbarazzo l’Alto Rappresentante Ue Catherine Ashton, che polemicamente fece sapere di non volere commentare. E allora ? C’è una consuetudine consolidata di critica interna al sistema di Bruxelles. E la sinistra ci ha messo del suo. Tanto. Eccome. E allora, che volete da Giorgia?