Oltre il ridicolo, ora si chiedono se chiamare la Meloni “il premier” o “la premier”: morbosità boldriniane
Ma guarda un po’ che problemi. Di fronte alla grandi sfide che l’attendono, è il retropensiero boldriniano ad arrovellare linguisti e non solo su come definire Giorgia Meloni. Qualora ricevesse l’incarico di formare il nuovo governo come chiamarla? Il premier o la premier? Prima ministra o primo ministro? È il quesito “epocale” che dal servizio pubblico, a Rai Radio1, a Un Giorno da Pecora, è stato rivolto nientemeno che al presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini. «La premier invece che il premier. E prima ministra e non primo ministro», risponde lo studioso, salvo poi andare al concreto: «Ma sarà lei, in caso, a decidere come preferisce esser chiamata». Naturalmente questo è l’ultimo dei problemi che si sta ponendo Giorgia Meloni.
Morbosità boldriane: Meloni, la premier o il premier?
Alle prese con ben altre questioni che come governo dovrà affrontare- Mef, finaziaria, caro bollette, energia- l’accanimento linguistico non turberà la leader di FdI. E’ tema tipicamente di sinistra, che vuole insegnarci come parlare e che va imponendo schwa e asterischi. La declinazione al femminile di molti aggettivi e funzioni non risolverà i problemi che la Meloni intende risolvere con i fatti e non con le parole. Queste quisquilie da retrogusto boldriniano sono attenzionate invece da chi morbosamente attende di attaccarsi a qualunque espressione parlata o scritta, ora che l’intellighenzia ha a che fare con il successo di una donna di destra. E già si sono avute le prime avvisaglie. Ieri Repubblica ha praticamente “processato” le singole parole pronunciate dalla leader di FdI dopo la vottira di FdI, in un articolo sconcertante.
Il linguaggio della Meloni sotto la lente d’ingrandimento
Per gli italiani ormai smaliziati e concreti il come definire Giorgia Meloni importa meno che niente, probabilmente. Il voto degli elettori le ha affidato ben altri compiti. E questioni di lana caprina le lasciano volentieri alla Boldrini e alla Murgia, se avranno qualcosa da eccepire. Un dato è certo: al di là della irrilevanza o meno della questione delle funzioni declinate al femminile, c’è da aspettarsi che anche parole “molto neutre che sicuramente Giorgia Meloni userà verranno subito messe sotto la lente. Se userà «patria», termine che sta ovviamente anche nella Costituzione, verrà visto subito come un richiamo a chissà quale nazionalismo. Con «nazione», «esercito» o «confine» potremmo essere già alla certificazione di ritorno al linguaggio tetragono del Ventennio”, scherza ma non troppo il commento del Giornale. Hanno già iniziato, del resto.