Piazza del Popolo fa venire il mal di pancia ai “giornaloni”: le bizzarre tesi per negare il successo
La sintesi estrema del messaggio arrivato da piazza del Popolo la fa oggi Libero in prima pagina: «È la volta buona». All’interno è spiegato che «il centrodestra è pronto». Un messaggio sempre restituito dai leader in questa campagna elettorale e ora certificato anche dai cittadini che si sono ritrovati nella più simbolica delle location politiche romane: «Libertà, orgoglio e unità: è la piazza che ci crede». Di «clima di festa», che azzera «le tensioni che hanno segnato altri comizi, complici le azioni di disturbo organizzate da vari gruppi di oppositori» parla anche Il Giornale. La manifestazione di ieri è stata senza sbavature, con l’unica pecca di un certo ritardo nell’avvio del comizio vero e proprio.
Quelli che… «la piazza era piena, ma non pienissima»
Una circostanza che non ha smorzato l’entusiasmo delle migliaia e migliaia di persone che in un pomeriggio lavorativo hanno raggiunto l’impervio centro di Roma per dire, anche loro, che «siamo pronti». Una roba che ha fatto venire più di qualche mal di pancia ad altre latitudini politiche e deve aver provocato qualche grattacapo a chi quella piazza doveva raccontarla puntando su criticità che non ci sono state. Come uscirne, allora? Uno dei leitmotiv di questa ardua, se non impossibile narrazione è stato la consistenza dei numeri. «Piena, ma non pienissima», ha sentenziato Repubblica. Stesso racconta anche su La Stampa: «La piazza in verità non è proprio strapiena. Anzi». E, vabbè, ognuno cerca le consolazioni che può, anche a dispetto di un colpo d’occhio che non lascia dubbi sulla partecipazione.
La tesi delle divisioni
L’altro tema ricorrente di certa rassegna stampa di oggi è quello delle divisioni del centrodestra, sulle quali tanto inchiostro è stato versato nel corso di tutta la campagna elettorale. Si poteva forse cancellarle prendendo atto della manifestazione di ieri? Ovviamente no. Ed ecco allora che ci si esercita sulle prove più bizzarre per dimostrare che, sì, i leader si saranno pure presentati sul palco tutti insieme, chiamandosi per nome, ma poi la prossemica, la scaletta degli interventi, le prospettive dei risultati, eh quelli, raccontano tutta un’altra storia.
La prova? I leader parlano in sequenza…
In questo senso fa scuola La Stampa: «L’insistito chiamarsi per nome di battesimo non cancella l’impressione che l’evento di piazza del Popolo coincida di fatto con una sequenza di singoli discorsi dei leader». Dunque, tutto un artifizio: persone che si conoscono da vent’anni, leader politici che condividono idee e visioni si chiamano per nome per far vedere che hanno rapporti consolidati e poi parlano in sequenza, uno dietro l’altro, non accavallandosi o passandosi la parola a metà di ogni frase. È evidente che sono divisi e che si fanno sgarbi come offrire a Berlusconi il «ruolo meno nobile dell’apripista». E dire che a molti quello era sembrato il riconoscimento al leader che per il centrodestra è stato presidente del Consiglio, il richiamo simbolico a quella stagione di successo e di benessere per l’Italia che lo stesso Cavaliere ha evocato nel suo discorso.
«Non per richiamare la potenza tossica della zizzania, ma…»
Il Fatto Quotidiano, poi, estende l’idea della marginalizzazione anche a Salvini: «Meloni è pronta, gli altri no». Gli altri, è la tesi, sarebbero «ridotti a fare le comparse». Non c’è dubbio, e su questo tutta la stampa è d’accordo, che la leader di FdI sia stata la principale protagonista della manifestazione di ieri, ma qui il giochetto è un altro. Lo esplicita Repubblica, in un pezzo piuttosto velenoso firmato da Filippo Ceccarelli. Lo esplicita con una excusatio non petita: «Non per richiamare a tutti i costi la potenza tossica della zizzania e l’uccelletto del malaugurio, ma…». Si legge nell’articolo.
L’ingresso dei movimenti giovanili sul palco raccontato quasi come una rissa
In particolare il «ma» è riferito all’ingresso sul palco dei ragazzi dei movimenti giovanili dei vari partiti della coalizione. Un momento che pare essere stato una rissa, per come viene raccontato: «Sono entrati sul proscenio giovani alfieri di Forza Italia; ma poi, con passo più vigoroso, li hanno inseguiti altri portabandiera, però meloniani, che gli si sono andati a mettere davanti impallandoli, mentre per i baby salvinisti quasi non c’era più posto in prima fila».
Il palco? «Sembrava una gabbia»
E, ancora, tornando sui leader e su Meloni: «La vittoria di regola è monogama e sul palco blu di piazza del Popolo, perimetrato da tubolari che lo facevano sembrare una gabbia, c’era comunque qualcuno di troppo». «Ieri sera la coalizione doveva apparire unita e tale è apparsa», ma ci sono «spunti» che dicono il contrario. Quali? «Salvini ha parlato troppo e il Cavaliere troppo poco». E poi Meloni «si è regalata una presentazione d’autore da parte di Pino Insegno». Tre indizi che chiaramente fanno una prova del fatto che la coalizione sarà pure «apparsa unita», ma non lo era mica. «Ma queste – si legge ancora su Repubblica – sono davvero inezie e malizie». Il vero punto, «il punto nudo e crudo», sarebbe un altro: «La notte del 25 anche da quelle parti si dovranno fare i conti, per non dire la resa dei conti».