Primato Ue, c’è un conflitto tra le Alte Corti, altro che il sovranismo della destra
Allora, allora, questa qui – la vostra futuribile presidente del Consiglio – vuole modificare l’articolo 11 della Costituzione? Mannaggia a lei: vuole sbertucciare il primato del diritto Ue rispetto al diritto nazionale? Ora vedete: finché si sbracciano e gridano i giornalisti militanti – alcuni pure “militari” – puoi fare spallucce: è pura propaganda di “contras” che la Meloni, vorrebbero politicamente morta; anche ai cattivi consiglieri di Enrico Letta – in primis l’aspidico Cerasa che gli suggerisce un “incidente”per risollevarne le sorti elettorali – si può replicare col “tamquam non esse”. Quando, però, la questione viene posta da un’icona del giornalismo “borghese”, un direttore di garbo come Ferruccio De Bortoli – qualcosa bisogna pur rispondere, no ?
Risposta ai quesiti di de Bortoli
Ditemi un po’: questo articolo 11, + vero che quando nacque non si sognava di dovere essere tirato dentro la disputa tra diritto interno e diritto europeo? Eh sì: che cavolo c’entra una norma del 1948 – anno di nascita della “Costituzione più bella” – con le Comunità europee che al tempo non erano manco nella mente di Dio? La Cee è del ‘57 e allora? Com’é questa storia? Leggete, leggetelo l’11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali: consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Ecco l’articolo supremo.
Quell’articolo creato per consentire l’adesione dell’Italia all’Onu
Scusate: ma che c’azzeccano “la pace e la giustizia tra le Nazioni” con le Comunità economiche? Direte: c’entrano, c’entrano. Come c’entra qualunque altra buona cosa. Ma non era la finalità principale della Cee e – diciamoci la verità – non lo è neppure dell’Ue odierna. Forse adesso un filo in più, a causa dell’aggressione russa all’Ucraina. Ma allora non poteva esserlo. La verità qual è? È che quell’articolo era stata pensato per “altro”. Era stato creato per consentire l’adesione dell’Italia all’Onu: ecco perché quel lessico di “ripudia la guerra” e di “pace e giustizia”. I padri costituenti avevano la testa alle Nazioni Unite, non alle ancora inesistenti istituzioni europee. È così. L’Onu era stata partorita tre anni prima: aprile-ottobre 1945. E l’Italia, non c’era. Non poteva: faceva parte del disgraziato campo dei “vinti”e l’Onu nascente era il club dei vincitori. E quindi? Quindi i “nostri” misero su Carta quell’articolo 11 per affermare una rinuncia alla piena sovranità militare: in un frangente storico in cui, uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale, l’Italia cercava di inserirsi nei meccanismi “pacifici” dell’Onu.
Le limitazioni di sovranità
Come? Subordinandosi ad essi. Ecco le ragioni delle “limitazioni di sovranità”. Più che giuste. Quei “limina” hanno svolto la loro missione: furono il lasciapassare per consentire, dieci anni dopo, nel 1955, l’ingresso dell’Italia al Palazzo di Vetro. Ora, la stragrande maggioranza di giuristi e studiosi concordano su un dato: riferire le “limitazioni” di sovranità all’Ue é una “forzatura interpretativa e applicativa” (Bargiacchi), una “interpretazione personale e inconferente“(Valvo), una “invenzione” per di più “ultra tenorem litterae e probabilmente anche ultra rationem” (Esposito). Et cetera. Lo si sa: la norma va riscritta e adeguata ai tempi. E il partito della Meloni, con una iniziativa legislativa, ha segnalato il problema. Vabbè, si discutano i particolari. Ma il problema c’è. Ed é pure grande. Fdi lo ha messo su terreno politico.
“Sovranismo costituzionale” della Consulta?
La verità? La nostra Consulta, tallonata dalle Corti europee che reclamano la loro primazia, si è agganciata all’articolo 11, a ciò che aveva disponibile. E ha fatto del suo meglio, tra innumerevoli osservazioni critiche della dottrina. In realtà, alla grave lacuna hanno cercato di porre rimedio – pur incidentalmente – sia il centrosinistra con la riforma “federalista”del titolo V (la 3/2001) e in particolare dell’articolo 117, comma 1, della Carta, sia il centrodestra con la “legge La Loggia”(la 131/ 2003); ma non ci sono riusciti. In ambedue i casi, fu introdotto il concetto di “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, ma le modifiche, riferite solo al potere legislativo e altre criticità, hanno indotto la Corte costituzionale a tenersi agganciata sempre al vetusto articolo 11. Ora, che si vuole dire ? Che è la Meloni a non volere riconoscere il primato assoluto del “diritto europeo” ? Ma, guardate, che il conflitto in questi anni non é stato agitato dalla destra, ma dalla nostra Consulta. Che, dopo decennali contrasti con la Corte di giustizia europea, sembra – ma ha tutta l’aria di essere una simulazione “politica” – avere abbassato la testa: sembra essersi piegata a una visione “sovranazionalistica” citata nelle sentenze della Corte di Lussemburgo e non “internazionalistica”dipendente dagli accordi tra Stati sovrani; ma é così solo in parte. La Consulta non ha affatto mollato la presa sulla sovranità del diritto nazionale e propria rispetto alle Corti europee.
La teoria italiana dei “controlimiti”
E così ha elaborato la teoria dei “controlimiti costituzionali”. Cioè ? Cioè é la nostra Corte – non la candidata premier del centrodestra – a non accettare il “primato assoluto” del diritto comunitario e la limitazione definitiva dei diritti sovrani della Repubblica rispetto aill’Unione. Quali sono questi “controlimiti” che “limitano i limiti” dei Trattati Ue ? La Corte costituzionale ha dichiarato la propria competenza quando le norme comunitarie dovessero contrastare con “i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o con i diritti inalienabili della persona”: in tal caso la stessa Corte ribadisce la propria “sovranità” provvedendo “nei modi rituali ad espungere” la disposizione europea confliggente dall’ordinamento italiano (sentenza 348/2007). E ciò perché detti principi e diritti – ecco il punto politico – connotano lo Stato “nella sua fisionomia di originarietà e, appunto, di sovranità” (Luzzatto). Il problema é che la Corte di giustizia europea non ha mai accettato i “controlimiti costituzionali” italiani. La sua giurisprudenza non cede: da oltre 50 anni é ferma all’idea che il diritto comunitario “per sua natura non può trovare un limite in qualsivoglia norma di diritto nazionale e il fatto che siano menomati …i principi di una costituzione nazionale” non può sminuire né la validità né l’efficacia di un atto europeo (sentenza 17 dic 1970). Chiaro ? C’è un braccio di ferro permanente tra la nostra Corte e le Corti di Lussemburgo e Strasburgo.
La sovranità popolare e il diritto incomprimibile
Una questione molto complessa, certo. Ma il senso politico emerge. Resta un nodo da sciogliere: quali sono in dettaglio i “principi fondamentali” della nostra Costituzione dinanzi ai quali la stessa Unione Europea deve arrestarsi? Quali sono questi “diritti incomprimibili” (sentenza 275/2016) ? Non c’è un catalogo. Vi può rientrare l’appartenenza della sovranità al popolo ? È una riflessione da fare. Perché ci sono studiosi secondo i quali “la norma costituzionale secondo cui la sovranità appartiene al popolo é espressiva del primo tra i diritti incomprimibili” (Valvo). E, pertanto, le forme e i limiti dentro cui va esercitata (articolo 1 della Costituzione) non potranno mai coincidere con radicale sottrazione al popolo di un diritto che gli é proprio, del quale é costituzionalmente titolare. Dico, al di là della mia versione un pizzico pop, la questione è intricata e tengono le fila della dialettica tra diritto nazionale e diritto europeo la nostra Consulta e la stessa dottrina giuridica italiana. Ci sono quindi un “sovranismo costituzionale” e un “sovranismo dottrinale” dell’Italia ? Eh, pare di sì. E allora non prendetevela con le immaginarie “avances” scioviniste di Giorgia.