Raf Vallone nel ricordo del figlio Saverio: la recitazione nel cuore e due lauree nel cassetto
Dai campi di calcio della serie A al cinema. Dalla maglia del Torino, ai set internazionali. Dal giornalismo al teatro, Raf Vallone scomparso 20 anni ha lasciato un impronta profonda nell’universo culturale di casa nostra, che oggi il figlio Saverio, anche lui attore, ricalca e segue, pur calato in una realtà spettacolare completamente diversa. In un’intervista rilasciata a La Verità, Vallone jr ripercorre le tappe della vita artistica dell’illustre genitore e racconta, a cuore aperto, la storia di una personalità carismatica che ha profondamente influenzato grammatica cinematografica e mode divistiche degli ultimi decenni.
Raf Vallone nel ricordo del figlio Saverio
Dagli esordi nel 1949 in Riso Amaro di De Santis, a Uno sguardo dal ponte, di Sidney Lumet (1962), tratto dall’omonimo dramma di Arthur Miller, e da lui trionfalmente portato sulle scene a Parigi per un paio d’anni. Performance che costituisce a tutt’oggi la sua interpretazione più acuta e profonda. Capitoli della nostra storia dello spettacolo che evidenziano come e quanto Raf Vallone – nel dare vita a personaggi popolari, schietti e buoni, animati da ideali di fratellanza e di giustizia – sia riuscito a evitare manierismi di sorta e caratterizzazioni forzate – pur aderendo a stilemi classici rivisitati in nome di un talento drammaturgico declinato a interpretazioni teatrali e pellicole diventate dei classici. Complici anche una fisicità prestante e una caratterizzazione psicologica data ai suoi personaggi, che hanno fatto di lui «un uomo dalle 1.000 vite»…
Sulle orme di un divo con due lauree e un carisma naturale
Ma anche un artista dai mille volti. Che alla sua morte, come scrive il quotidiano diretto da Belpietro, ha passato il testimone al figlio Saverio, che del padre racconta episodi legato al divismo e fatti inediti di vita quotidiana. Una quotidianità che Raf Vallone ha condiviso con la moglie Elena Varzi, anche lei attrice, ritiratasi dal set agli inizi degli Anni Cinquanta per dedicarsi alla famiglia. E allora, «quando ha capito che suo padre era un divo?», chiede l’intervistatore a Saverio Vallone. Un interrogativo a cui il figlio d’arte risponde di getto: «L’ho visto subito: era amatissimo dalla gente, circondato da tantissime persone. Era un divo, però ha sempre amato i rapporti familiari e mi ha sempre fatto sentire il suo ruolo di padre, con un affetto straordinario. Stava quasi sempre fuori per lavoro. Ma quando stava a casa, cercava di insegnarmi qualsiasi cosa».
Raf Vallone tra set e scorci di vita in famiglia
Anche, spiega Saverio, “imponendogli” «le letture le poesie di Pasolini, che recitava a memoria. Oppure di Alfonso Gatto, un altro poeta che amava.
A un certo punto voleva che leggessi tutto l’Ulisse di Joyce!». E allora, la domanda sorge spontanea: «Imparare le poesie l’ha poi aiutata quando ha intrapreso la carriera di attore?». «Assolutamente. Molto spesso mi chiamano per presentare dei libri, forse è diventata la cosa migliore mia dal punto di vista attoriale». Però, magari – chiede La Verità – «quando suo padre partiva era un sollievo!»… «Un grandissimo sollievo: quando andava a girare un film, era una vacanza. Subentrava un rilassamento in famiglia, allora io andavo nelle camere a svegliare mia madre e le mie sorelle perché dovevo imitarlo. “Sveglia, sveglia”. Senza gli stessi esiti: mi mandavano a quel paese!».
«Stava sempre a studiare: aveva due lauree, una in legge, una in lettere e filosofia»
Una personalità carismatica, quella di Raf Vallone, in casa come sul set. Tanto che alla domanda se a casa l’attore si comportasse mai come i personaggi che interpretava, Saverio risponde: «No, in casa usciva sempre dai suoi ruoli, anche se il personaggio di Uno sguardo dal ponte, che ha fatto tante volte, gli era proprio entrato dentro.
A casa leggeva, studiava tantissimo, meditava e faceva yoga tutte le mattine per rilassarsi. Anche quando giocava nel Torino, studiava sempre. Infatti ci sono interviste in cui gli allenatori dicono: “Raffaele Vallone sta sempre a studiare”. Aveva due lauree, una in legge, una in lettere e filosofia».
Le amicizie storiche e quel legame con Brigitte Bardot…
Il resto del tempo che rimaneva dopo set e teatro, Raf Vallone lo dedicava alle amicizie. Storiche quelle con Monica Vitti e Michelangelo Antonioni. E poi anche Marcello Mastroianni, Anthony Quinn, Al Pacino, «con il quale ha legato durante le riprese de Il Padrino-Parte III» racconta Saverio Vallone. E ancora: Marco Ferreri, Alberto Moravia, Oriana Fallaci, Marlene Dietrich, Arthur Miller con la figlia Rebecca e la compagna Inge Morath. E persino con Brigitte Bardot. Di cui nell’intervista il figlio rivela: «Mamma trovò per caso un biglietto in una giacca. La Bardot scriveva biglietti con i fiorellini attaccati. “Chi è questa Brigitte che scrive Je t’ aime?”. È scoppiato un dramma. Ma papà ha sempre amato tantissimo mamma e ha lasciato l’attrice francese»…
Raf Vallone e i consigli al figlio, dalla scelta del liceo all’università
Ma alla fine, «suo padre l’ha incentivata a fare l’attore?». «No, mi ha incentivato a studiare. Mi piaceva il liceo classico, ma lui mi ha detto: “No, devi fare lo scientifico”.
All’università, volevo fare medicina e lui: “No, devi fare farmacia”. Con la chimica è stata durissima. Mi mancavano tre esami per laurearmi perché ho cominciato a lavorare presto. A 16 anni ho fatto l’assistente operatore di Pasqualino De Santis per A mezzanotte va la ronda del piacere e per i matrimoni perché, quando era libero dagli impegni cinematografici, girava i filmini dei matrimoni. Un premio Oscar!».
«Mio padre mi vedeva di più dietro la macchina da presa lo vedeva un lavoro più solido. E forse aveva ragione!»
Ma Saverio, quando ha esordito come attore? «Subito. Sul set di quel film cercavano il figlio di Claudia Cardinale e il regista Marcello Fondato ha detto: “Lo fa Saverio!”. Era una scena piccolissima in un cinema. Poi ho fatto molte pubblicità e fotoromanzi, che mi hanno dato grande notorietà. Ricevevo migliaia di lettere perché li leggevano tutti!». E suo padre che diceva? «Mio padre mi vedeva di più dietro la macchina da presa, lo vedeva un lavoro più solido. E forse aveva ragione!».
Ma allora, «ha lavorato a teatro con suo padre?». «Solo quando un regista con cui avevo lavorato, gli ha detto: “Guarda che Saverio è bravo”. È stato molto impegnativo: passava dall’essere severissimo a essere molto generoso. Prima di esibirci nel Tommaso Moro mi ha detto: “Qualsiasi cosa accada, non ti preoccupare: ceniamo insieme questa sera”».