“Repubblica” processa Laura Pausini: “Marco se n’è andato perché lei non cantava Bella Ciao…”
“Non canto Bella Ciao perché è una canzone troppo politica”, è la frase pronunciata a una tv spagnola da Laura Pausini, da ieri sotto processo per lesa maestà partigiana, nel nome della libertà e della democrazia di sinistra, ovviamente. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Se nella folla di cantanti col pugnetto e la bandiera rossa spunta una voce dissonante, ecco che scoppia lo scandalo: c’è qualcuno che non parla male della Meloni, non grida al pericolo fascista e non canta “Bella Ciao” per farsi bella con i “compagni” e garantirsi la benemerenza del mean streaming di sinistra: va dunque massacrata subito sui media, sui social, sui giornali. Come da ieri sta accadendo a Laura Pausini, fino a ieri una straordinaria cantante italiana famosissima all’estero e orgoglio nazionale, da oggi una sorta di residuato musicale stonata a folkloristica, colpevole (in un video spammato sul web a mo’ di Inquisizione) di non aver inneggiato alla canzone simbolo dei partigiani e definita, con sprezzo, da “Repubblica“, la “Mariano Apicella” di Giorgia Meloni.
Repubblica manganella Laura Pausini per lesa partigianità
Un massacro mediatico che ha costretto la poverina a fare immediatamente mea culpa dichiarandosi antifascista per sfuggire al tritacarne mediatico, che oggi, su “Repubblica“, trova una straordinaria esibizione di triste umorismo nella rubrica firmata dal vicedirettore, il sinistrosissimo Stefano Cappellini, che scopiazza una battutina che da ieri circola sui social per vergare una rubrica tutta dedicata alla scandalosa Pausini. “Marco se n’è andato e non ritornerà, quante cose si spiegano…“, esordisce Cappellini facendo il verso alla più famosa canzone dell’artista emiliana, e improvvisamente scopre che esistono i cantanti di regime, e dà alla Pausini l’appellativo di “chansonnier” politica. “Finalmente, dopo tanti cantanti schierati contro, e Giorgia, e Elodie, e altri minori, Giorgia Meloni ha trovato il suo Davide Van De Sfroos, il suo Mariano Apicella, ma molto più popolare e intonata: è Laura Pausini, che ospite di un programma della tv spagnola si è rifiutata di cantare Bella ciao perché è una canzone “troppo politica”. Una tesi già cara a un pezzo importante della destra italiana, sicuramente al Movimento sociale nel quale l’aspirante presidente del Consiglio si è formata e nei partiti che ha figliato”.
“Bella Ciao va cantata da tutti, altrimenti…”
E qui arriva la militanza del giornalista, che sale sul pulpito della storia per ricordare a tutti ciò che a lui, mente sottilissima, è chiarissimo. “Spiegare ancora una volta l’evidenza, ovvero perché Bella ciao non è un pezzo di parte sarebbe avvilente, quanto lo è sempre stato constatare che c’è una quota di italiani che non ha mai ritenuto dirimente scegliere tra gli occupanti nazisti e i partigiani, di ogni colore, che hanno ridato all’Italia libertà e democrazia”, scrive. Come se non cantare una canzone che ha segnato una grande tragedia italiana come la guerra civile seguita alla caduta del fascismo e preferire altri metodi per celebrare la Costituzione senza coltivare nostalgie del Ventennio, sia di per sè una colpa. Quindi, da oggi, è fascista non solo dire o cantare cose fasciste, ma anche non dire o cantare cose comuniste. Ma allora perché non sostituire l’Inno di Mameli con “Bella Ciao” direttamente, perché non farlo cantare nelle scuole ai bambini, perché non farla vincere al prossimo Sanremo facendola remixare a Elodie o alla Bertè? La dittatura in arrivo, però, sarebbe quella della Meloni, non quella della cose da fare e da non fare che da anni la sinistra impone attraverso i suoi giornali.
Ma attenzione, “Repubblica” chiude con un anelito di misericordia per la pecorella smarrita dalla sinistra. “A discolpa di Pausini si può pensare solo che non conosca il brano, però è difficile crederci. Resta solo la delusione per la scivolata di un’artista così brava e una ragione in più per spiegare come mai Marco è andato via e non ritorna più”. Battutona, sipario, tristezza.