Le 29 parole di Lorenzo Peluso che raccontano il piccolo mondo del sud e le grandi miserie dell’umanità
Nell’era geologica delle chiacchiere e dei distintivi, a volte basta la parola giusta a rimettere ordine nel caos dei dibattiti infuocati sul nulla, tra onniscienti e mitomani, ognuno con le sue ragioni, ognuno con le sue interpretazioni, con le sue fazioni.” Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti alla sinistra perdente nelle urne, “le tue parole sono mine, le sento esplodere in cortile, al posto delle margherite”, cantava Cesare Cremonini a una fidanzata in fuga.
Per Lorenzo Peluso, autore del ibro “29 parole, 30 storie” (Gagliardi editore, pp 202, E.17) , invece, quegli agglomerati di sillabe che fanno la differenza tra esseri umani senzienti non sono cariche esplosive e tutto sommato non decidono neanche le elezioni ma sono tasselli non casuali che “aggiungono elementi al nostro cammino di conoscenza”. Nel suo nuovo lavoro il giornalista salernitano sceglie 29 parole per raccontare storie di tutti i giorni sulle quali gli è sembrato necessario, urgente, utile, accendere un faro, con “fatti, aneddoti, storie e significati che le parole, nella loro bellezza assoluta, possono ricordare, con l’impegno di non dimenticare” dice Peluso, che alterna momenti intimi e vicende della sua comunità a spaccati sul resto del mondo, temi epocali accostati ad attimi fuggenti
”Le parole possono essere paesaggi naturali o città fatte di grattacieli, possono portare il mondo nelle proprie mani o farsi trasportare nelle mani del mondo. La verità delle parole è anche molto sottovalutata. Troviamo sempre dei modi per nasconderla, è sempre scomoda, sempre lì a ricordarci che probabilmente qualsiasi cosa che vediamo non è come appare”, è invece la metafora di Ferdinando Longobardi, docente dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, che cura la prefazione del volume. Un testo originale nell’idea e colto nei contenuti.
“E’ necessario recuperare la curiosità, quella dell’uso delle parole. Ci rimane il tempo, ancora, per migliorare il nostro vivere attraverso la bellezza delle parole. Così facendo possiamo ancora salvare il Creato, potremmo invertire la rotta del pensiero che da troppo tempo ci spinge all’autolesionismo, preludio alla cancellazione dell’umanità incapace di parlarsi ed ascoltarsi vicendevolmente. E’ proprio questa l’essenza assoluta delle parole: fornire l’occasione per creare un ponte tra idee divergenti”, spiega l’autore.
La sua idea delle parole è strettamente legata a quella della lettura, risorsa dell’umanità, come la sua Giovannina, edicolante del borgo cilentano di Sanza, profondo sud, costretta a chiudere i battenti dal cambiamento epocale che ha relegato giornali e fumetti al rango di reperti archeologici. “I fumetti; che meraviglia. Obbligherei per Legge a leggerli…”, fa notare Peluso.
Il viaggio nelle parole e nelle storie tocca termini come “diseguaglianza”, analizzata alla luce della forbice tra ricchi e poveri aumentata nel periodo del Covid, “dimenticare”, riferito a paesi come il Libano che Lorenzo Peluso ha frequentato da inviato e raccontato quando ancora alcuni angoli del mondo interessavano il main streaming.
Ma anche parole come “onore”, riferito ad eroi dimenticati dallo Stato, o “saggezza”, abbinato al ricordo del nonno costretto ad una guerra inutile e dolorosa, pesano sulle riflessioni leggere e profonde, fino al termine “guerra”, declinato nel racconto degli albori dell’invasione russa ma anche nella direzione di tutti i teatri dell’orrore aperti e spesso ignorati in tutto il pianeta. Ed ancora, parole e storie, come indifferenza, fatica, umiltà, tra politica e società, tra privati cittadini e classe dirigente, tra bene e male, tra racconti di mafie e libertà, fino all’epilogo del libro che scioglie il mistero di quel 30 asimmetrico, una storia in più, a conferma che le parole sono solo pretesti per parlare di noi e che nella vita i conti non tornano mai.