Meloni premier fa l’Italia più “progressista” e mette in crisi visione e metodo di sinistra: ecco perché
Giorgia Meloni mette in crisi la cultura della sinistra. E certo, figuratevi se non capisco l’effetto della botta dalla quale il fronte progressista si deve riprendere. L’Usigrai e la “resistenza determinativa” a “il” in nome del “lei” sono un sintomo di reazione alla Reazione; d’accordo, leggero e ridévole, direte. Invece, é meno soft di quanto immaginiate. Riflettete e analizzatela: non é crisi solo politica. É transpolitica: culturale, estetica; é storica. Taglia alle radici la “ragione” dell’essere progress. Se la prima donna nella storia d’Italia a diventare capo del governo italiano é di destra, la questione é più profonda; mette in discussione non solo e non tanto l’attuale o le attuali leadership della sinistra, ma tutta la sua storia nel dopoguerra; ne interroga in modo traumatico percorso, visione e metodo.
Giorgia Meloni mette in crisi la cultura della sinistra
E ne fa vacillare – é questo su cui richiamo il vostro pensare – le “politiche dei diritti”, quelli di nuova generazione: l’uguaglianza sostanziale, le politiche di genere, ossia i quark del suo universo valoriale. Insomma mette in dubbio che la “rive gauche” sia tuttora tra «queste rive son dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive» del nostro conte-poeta Giacomo. L’ingresso della Meloni a Palazzo Chigi incide crepe nella “loro” simbologia, col suo incrocio di significati e luoghi generatori di senso; fende architetture verbali e formali: spesso solo astrazioni intellettualistiche con scarsa adesione alla realtà. Che sono state costruite sulle politiche di genere, sulla condizione femminile, su parità e pari opportunità; con tutto il seguito di eccessi in legislazioni e assessorati ad hoc; di progettualità pseudo-filosofiche: il non poco di sovrastrutture di immagine e superficie.
La Meloni emancipa l’Italia anche sul “loro” terreno
Una psicosfera sopraffatta dal principio di realtà che si invera così: la conservative Meloni, diventando presidente del Consiglio, emancipa l’Italia, anche sul “loro” terreno: la rende più “progressista”. E, qualche minuto di attenzione, intendo in quel campo tanto contemporaneo ed “europeo”, qual é quello del Genere. Come, perché ? Ah, ragazze e ragazzi miei: quanto ancora devo scrivere per farvi comprendere la rupture-radicale – eh sì, radicale – di questa svolta? Quanti tasti e quante volte devo ancora pigiare ? Non lo sapete ? Ecco qua. Nell’indice Eige sull’uguaglianza di genere 2021 l’Italia ha un punteggio di 63,8 su 100; siamo sotto la media europea: solo al 14° posto tra i 27 Stati membri dell’Ue. Siamo più giù dei maggiori Paesi dell’Unione: Francia, Germania, Spagna. E molto lontani da quelli del Nord Europa, naturalmente. Un altro minuto per dare uno sguardo al mondo; guardate un po’ qui: l’analisi 2021 del World economic forum sul Global Global Gender Gap – “Gender” non vi piace eh, ma dài non siate sospettosi – l’Italia é 63esima su 156 Paesi.
La dea Uguaglianza e le disparità italiane
Hanno misurato la nostra disparità di genere nel campo della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute, chiaro ? Lascio perdere i primi della classe, i soliti “nordici”; ma, cavolo, siamo il fanalino di coda – ultimi dati, giuro, poi vi lascio in pace – tra i Paesi europei: la Germania é all’11° posto, la Spagna al 14° posto, la Francia al 16°, il Regno Unito al 23°. Mi fermo: le statistiche sono dure da ingoiare, sono fredde e in questo caso pure negative. Ma aiutano a ragionare. E passo a un filone parallelo, dove volevo portarvi. Alla Costituzione. Ah, quanto fu e viene evocata, “contro”. Occhei, ci sto.
L’articolo 51 della Costituzione: attuarlo ora é più facile
Ma, ricordate l’articolo 51 della Carta più bella del mondo che dice? Ripassiamone il primo comma: «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Ricordate quando fu cambiato? Ve lo dico io: nel 2003 con voto bipartisan, a larga maggioranza (era premier Berlusconi); la legge costituzionale n. 1 vi aggiunse il secondo periodo della norma. Vi risparmio tutto il “giuridico”, le sentenze della Consulta et cetera.
Da Giorgia Meloni la più puntuale attuazione della Costituzione
E andiamo al punto politico: in venti anni, abbiamo fatto qualche passetto in avanti, ma – vedi i numeri sopra – siamo tuttora “arretrati”, per dire: la Dea Uguaglianza sta male in Italia. Ma – vedi un po’ tu che scherzi combina l’eterogenesi dei fini – il prossimo anno solo il fatto che una donna sia diventata capo del governo, ci farà scalare molte posizioni in quelle graduatorie planetarie. Certo numeriche, ma anche “culturali”; di considerazione tra istituzioni internazionali che a questo tipo di “cultura” guardano; con cui ci pesano come Nazione.
Le classifiche mondiali diranno che l’Italia é diventata più moderna, più progressista, più al femminile, più paritaria
Diranno – a denti larghi o stretti, non vi so dire – che l’Italia é diventata più moderna, più progressista, più al femminile, più paritaria: più quello che vi pare, ci siamo capiti. E soprattutto – seconda conclusione – é la Meloni a “fare” la più puntuale attuazione della Costituzione e di quell’articolo 51. Con la sua persona: ne sarà la metafora viva; modello e stimolo per tutte le italiane. Nella società e nelle istituzioni. Oltre la destra e la sinistra. Chi lo doveva dire? E sì, la storia delle idee si prende le sue rivincite; lo sapevate, no?