Salò e non solo. Sui nuovi presidenti Violante detta la linea ai suoi: «Giudichiamoli dai fatti»
Non è stata una di quelle telefonate che, come raccontava lo slogan di un vecchio ma indimenticato spot, «allunga la vita» ma di certo concorre a svelenire i rapporti politici, riportandoli sui binari del reciproco rispetto. Parliamo della chiamata fatta ieri da Luciano Violante a Ignazio La Russa per ringraziarlo della citazione del discorso con cui l’ex-magistrato s’insediò – correva l’anno 1996 – sul più alto scranno di Montecitorio. Un discorso rimasto negli annali della politica e oggi ancor più attuale di quando fu pronunziato. Soprattutto coraggioso, dal momento che Violante aveva osato portare del sancta sanctorum della democrazia nientemeno che le ragioni dei «vinti».
Il discorso del ’96
Vale la pena di riportare per intero il passaggio cui La Russa si è riferito pur senza esplicitarlo. «Mi chiedo – aveva detto il neopresidente della Camera – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione o perché bisogna sposare per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà».
Violante intervistato dalla Stampa
Parole che alla luce dell’antifascismo isterico che si andato affermando negli anni nessuno oggi pronuncerebbe. Ma che in qualche modo riemergono grazie all’intervento di La Russa e, soprattutto, alla telefonata di Violante. «Forse restano ancora attuali – dice lo stesso ex-presidente in un’intervista alla Stampa – perché non c’è ancora, nella misura necessaria, rispetto politico tra le parti contrapposte». Vero, lo riscontriamo ancora oggi nei tanti astiosi commenti che hanno preceduto e seguito l’elezione dei due nuovi presidenti di Camera e Senato. Violante, al contrario, invita a giudicare il loro operato dai fatti. E conclude: «Non dobbiamo fermarci alle etichette».