Scontri alla Sapienza, la sinistra fa da chioccia ai collettivi violenti e li trasforma in vittime

26 Ott 2022 10:06 - di Valeria Gelsi
sapienza

Le violenze scatenate ieri dai collettivi romani alla Sapienza diventano, nella lettura della sinistra, una repressione del libero pensiero da parte del potere costituito, ovvero del nuovo governo di centrodestra. Si tratta del solito ribaltamento della realtà, andato in scena anche alla Camera nel dibattito sulla fiducia, nel quale ciò che è avvenuto diventa del tutto irrilevante rispetto alla narrazione che se ne vuole dare. Ciò che è avvenuto, infatti, è che un gruppo di facinorosi, al grido di «Fuori i fascisti dall’università», voleva impedire lo svolgimento di un convegno sul tema “Il Capitalismo – Il profilo nascosto del sistema”, promosso da Azione universitaria, con relatori il giornalista Daniele Capezzone e il deputato di FdI Fabio Roscani e regolarmente autorizzato dall’ateneo.

Scontri alla Sapienza: il Pd parla di «clima di repressione»

Dunque, se qualcuno voleva impedire la libera espressione del pensiero quella non era la polizia, ma la pletora di autonomi che si era radunata per dare l’assalto all’incontro e che gli agenti hanno poi dovuto respingere con delle cariche di alleggerimento, dopo che c’erano stati alcuni spintoni e in un contesto in cui, tra l’altro, uno studente è stato fermato perché brandiva un’asta di bandiera contro gli agenti. Fatti che nella lettura della senatrice Pd Cecilia D’Elia sono diventati il sintomo di «un clima di repressione e intolleranza che non è accettabile, specialmente in un luogo come l’Università». Dunque, è ai militanti dei collettivi che è andata «tutta la solidarietà» dell’esponente dem.

Conte difende «il diritto di manifestare il pensiero». Ma solo per gli autonomi

A portare questa narrazione all’interno del dibattito sulla fiducia è stato poi Giuseppe Conte, che ha lanciato un monito perché sia rispettato «il diritto di manifestazione del pensiero. Mi rivolgo anche al ministro dell’Interno: mi preoccupa vedere le immagini di cariche e manganelli alla Sapienza, mi preoccupa da cittadino e da docente universitario». Ora, se è vero che le manganellate non sono mai belle da vedere, è anche vero che non si può fingere di non capire da cosa siano scaturite.

I collettivi: «Fuori i fasci». Ma poi dicono che il problema era l’assenza di contraddittorio

I collettivi, a scontri avvenuti, hanno raccontato che loro in realtà contestavano solo l’assenza di contraddittorio e volevano solo attaccare uno striscione alla cancellata della facoltà. Proprio quello striscione, però, chiarisce meglio di ogni altra cosa cosa muovesse davvero i collettivi: «Fuori i fascisti dall’università». Insomma, il solito schema per cui vogliono essere loro a decidere chi può e chi non può parlare, spesso indulgendo in metodi violenti.

Come la stampa simpatizzante ha raccontato le violenze alla Sapienza

Si tratta di un meccanismo talmente noto e ripetuto da non aver bisogno di esempi per capire di cosa si parli. Eppure oggi a leggere certi giornali si ha l’impressione che siano stati stampati direttamente su Marte. «I testimoni: “Volevano farci del male. Quelle botte erano senza un motivo», è un titolo de La Stampa dedicato alla vicenda. «Sapienza, polizia contro gli studenti di sinistra. “Presi a manganellate”», si legge poi in cronaca nazionale di Repubblica, che è però sulla prima pagina della cronaca romana che compie il capolavoro. «Manganellate alla Sapienza», è il titolo, che sotto riferisce anche de «Il “vento nero” e il timore di un altro assalto stile Cgil». E per capire che si tratta di due cose diverse bisogna andare alla pagine interne, dove i fatti accaduti a La Sapienza sono affiancati dai timori su eventuali blitz della «destra eversiva» in un “facite ammuina” che si conferma come slogan degli “antifascisti su Marte”.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *