A 100 anni dalla morte di Marcel Proust riemergono i valori di memoria, arte e passato

8 Nov 2022 18:48 - di Giacomo Fossa
marcel proust

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Giacomo Fossa su Marcel Proust. Giacomo Fossa, compositore, direttore d’orchestra e studioso, ha studiato Musica nel Conservatorio della sua città e all’Accademia Chigiana di Siena, e Filosofia. Ha diretto varie orchestre collaborando con importanti cantanti della scena lirica quali Luca Salsi e Michele Pertusi. Le sue composizioni hanno ricevuto premi internazionali, sono eseguite in importanti festival e sono edite da Aldebaran e Morcelliana.

Parlare di Marcel Proust diventa, con il passare del tempo, sempre più difficile e ciò avviene anche in ragione del fatto che la legge non scritta, e non detta, che sembra essere in vigore nel dibattito proustiano è quella secondo cui si possa parlare della sua opera entro la sola prospettiva della letteratura. Bisogna tentare di vederla quindi attraverso un’altra intensità che è quella della filosofia.

Marcel Proust e il racconto di una vita

L’opera a cui Proust, a partire dal 1908, dedicò l’intera vita è Alla ricerca del tempo perduto, il racconto di una vita, un romanzo che trascende il romanzo e che anticipa e affianca gli esperimenti modernisti di Musil, Joyce ed Hermann Broch. La matrice dell’opera è autobiografica e la voce del Narratore, a cui Proust affida il racconto, si dipana in un continuo immergersi nella memoria che è ciò in cui Bergson scorgeva la vera essenza dello spirito. Il regno della memoria è il passato, la chiave per avere accesso al passato è, come scrisse Nabokov, l’arte e tutta la Recherche appare come una grande opera teologica dove la religione dell’Assoluto è l’Arte. Al pari di ciò che accadde nella sua vita, anche nell’opera si succedono alternativamente i caotici quadri della mondanità parigina e le discese solitarie negli abissi dello spirito, scaturite involontariamente da un luogo, un suono, un profumo, un gusto (la celebre madeleine), che fanno di Proust il poeta dell’interiorità tra le cui pagine Theodor Adorno scorgeva il concetto filosofico della profondità.

La ricerca estrema del particolare

Alcuni frammenti dell’opera di Adorno appaiono come un lungo e remoto colloquio con l’opera di Marcel Proust che fu solo apparentemente lontana dalla teoria critica del filosofo francofortese, colloquio che culminò non solo nella Teoria estetica, sua estrema opera, ma pure in una serie di interventi per la Süddeutsche Rundfunk nei quali egli commentava alcune pagine del romanzo. Ciò che è più evidente nella Recherche, e Adorno non manca di rilevarlo, è lo strenuo tentativo di abbracciare l’universale sapendo che lo si può raggiungere soltanto tramite la ricerca estrema del particolare, una tendenza che secondo il filosofo trova la sua matrice non solo nella logica hegeliana, secondo cui il particolare è l’universale e viceversa, ma pure nella musica di Richard Wagner, forse il musicista più amato da Proust, nei riguardi del quale Adorno disse che «il suo ingegno ha constatato in modo irrefutabile che non esiste alcun universale se non all’estremo della particolarità». La ricerca del particolare trova poi la sua origine archeologica nella conformazione stessa delle grandi cattedrali gotiche che Proust amava grazie ai libri di Ruskin e alle cui gigantesche costruzioni diceva del resto di essersi espressamente richiamato per la struttura del suo romanzo, dove la più riposta sensazione è allo stesso tempo trascurabile ed essenziale, esattamente come le piccole statue delle cattedrali di Amiens, di Reims o di Chartres sono quasi invisibili in lontananza eppure portatrici di infinite storie.

La forza del ricordo

Che la Recherche, che come ogni opera d’arte è una creazione dello spirito, sia un grande libro sulla memoria è oggi opinione consolidata e lo dimostra già il suo avvio con la descrizione del risveglio. Tornare fin dalle prime pagine a Combray, ossia al mondo dell’infanzia, è già un cercare nella memoria e in questa prospettiva il pensiero di Proust dimora in principio nella stessa dimensione di quello di Mahler, ossia in un luogo per sempre revocato, dove una gioia e una malinconia indicibili convivono. Tuttavia, se la filosofia riesce a donare al pensiero ulteriori sentieri di conoscenza, vi è una differenza che qui affiora e che non si può ignorare. Walter Benjamin scrisse un giorno che attraverso il ricordo noi riusciamo a trasformare in compiuto ciò che era rimasto incompiuto e, viceversa, a rendere incompiuto ciò che pareva compiuto.  Se la memoria appare piuttosto come un archivio, il ricordo si forma invece come un gesto, qualcosa di simile ad un aver luogo. Nel ricordo il passato riaffiora, ritorna seppur idealmente di fronte a noi e in quel momento intendiamo che non abbiamo mai finito di ascoltarlo, che ha ancora qualcosa da dirci.

Il valore dell’opera di Marcel Proust

E che cos’è la Recherche se non un infinito, sognante, disperato, rappacificato tentativo di rendere nuovamente possibile il passato? Che cos’è se non la prova suprema di chi, nonostante tutto, crede che il perduto conservi ancora qualcosa che è stato dimenticato, che non ha finito di parlarci e fa di tutto per ritrovarlo e restituirlo agli uomini, sacrificando addirittura la propria stessa vita? La Recherche appare allora, oggi, nel mondo della velocità e della tecnica, come uno degli ultimi avamposti dell’arte e della filosofia intese come sentieri di Verità e conoscenza, e l’intera opera di Marcel Proust come la fonte di un passato che resiste ai colpi di un’ideologia che lo dimentica, che distrugge e cancella ogni principio della Storia e della tradizione, si pensi alla cosiddetta cancel culture, e che si impone come un credo per le giovani generazioni private di valori, radici e bellezza. Il Sapere invece edifica, innalza, fonda, così come Proust innalzò con la Recherche la sua immensa cattedrale di pensieri, e così come Hölderlin cantò nell’ultimo verso dell’Andenken dicendo che «ciò che resta lo fondano i poeti».

 

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