Alzheimer, un test delle urine potrebbe svelarlo e un nuovo farmaco rallentarne i sintomi
Agisce a lungo nel silenzio e poi, quando comincia a rubare i ricordi di una vita è già troppo tardi per fermarla. È il dramma della malattia di Alzheimer ed è il motivo per cui uno degli obiettivi che ci si pone è quello di avere screening su larga scala in grado di aiutare a rilevare la patologia in fase iniziale. Un nuovo studio condotto da ricercatori cinesi e pubblicato su Frontiers in Aging Neuroscience, suggerisce che l’acido formico potrebbe essere un biomarcatore sensibile in grado di assolvere all’obiettivo della diagnosi precoce. Aprendo potenzialmente la strada a uno screening economico e conveniente della malattia, basato su un semplice test delle urine.
Alzheimer, un test delle urine in futuro potrebbe svelarlo: ecco perché
Gli autori dello studio, Yifan Wang e colleghi, hanno testato un ampio gruppo di pazienti con malattia di Alzheimer di diversi livelli di gravità. E un gruppo di controllo con capacità cognitive normali per identificare le differenze nei biomarcatori urinari. Gli esperti hanno identificato così l’acido formico urinario come marcatore sensibile del declino cognitivo. Un totale di 574 persone hanno partecipato allo studio. I ricercatori hanno analizzato i campioni di urina e sangue dei partecipanti, e hanno eseguito valutazioni psicologiche. «L’acido formico urinario ha mostrato un’eccellente sensibilità per lo screening precoce dell’Alzheimer», hanno affermato gli autori. «Il rilevamento dei biomarcatori urinari dell’Alzheimer è conveniente e economico. Inoltre, dovrebbe essere eseguito con gli esami di routine degli anziani».
Un nuovo farmaco anti-Alzheimer potrebbe rallentare il declino cognitivo
E non è tutto. Perché nuovi dati riaccendono la speranza di avere anche un’arma da mettere in campo contro l’Alzheimer. Il farmaco sperimentale Lecanemab, secondo i risultati completi di uno studio di fase 3, sembra essere in grado di rallentare la progressione del declino cognitivo e funzionale. Riducendolo, se usato in fase precoce. Ma i fari sono puntati anche su alcuni possibili problemi di sicurezza dell’anticorpo monoclonale, a causa dell’associazione con alcuni gravi eventi avversi. I dati sono li ha pubblicati il New England Journal of Medicine. E li hanno discussi a San Francisco gli esperti che hanno partecipato alla conferenza Clinical Trials on Alzheimer’s Disease (Ctad) 2022. Poi, hanno fatto il giro del mondo.
Sperimentazione e dati dello studio sul farmaco
Arrivano circa 2 mesi dopo che le case farmaceutiche Biogen ed Eisai hanno annunciato che il Lecanemab aveva dimostrato di ridurre il declino cognitivo e funzionale del 27% nel loro studio di fase 3. E ora la nipponica Eisai spiega in una nota che «discuterà i risultati dello studio con le autorità regolatorie negli Usa. In Giappone. E in Europa, con l’obiettivo di fare domanda per l’approvazione tradizionale negli Usa, e per l’autorizzazione all’immissione in commercio in Giappone ed Europa entro marzo 2023».
La necessità di studi più lunghi
Come ricostruisce la Cnn online, uno studio di fase 2 non aveva mostrato differenze significative tra Lecanemab e placebo in pazienti con malattia di Alzheimer in 12 mesi, ma i dati dello studio di fase 3 suggeriscono che a 18 mesi il farmaco sperimentale era associato a una maggiore riduzione dell’amiloide cerebrale: proteina che si accumula nella patologia, e a un minore declino cognitivo. Ma, come spiegato dai ricercatori, il trattamento «è stato associato a eventi avversi». E «sono necessari studi più lunghi per determinare l’efficacia e la sicurezza del Lecanemab nella malattia di Alzheimer precoce».
Lo studio nel dettaglio
Lo studio di fase 3 è stato condotto in 235 siti in Nord America, Europa e Asia da marzo 2019 a marzo 2021. Ha coinvolto quasi 1.800 (1.795) adulti, di età compresa tra i 50 e i 90 anni, con decadimento cognitivo lieve dovuto all’Alzheimer precoce o a una lieve demenza correlata all’Alzheimer. Circa la metà dei partecipanti è stata assegnata in modo casuale a ricevere lecanemab, somministrato per via endovenosa ogni 2 settimane, e gli altri hanno ricevuto un placebo. I ricercatori hanno osservato che il punteggio Cdr-Sb, scala che valuta il livello di demenza, aumentava meno nel gruppo trattato con il farmaco rispetto al placebo.