Elezioni di midterm, i dem Usa verso la sconfitta. Inutile il teatrino di Biden contro Trump
Non è servito a Joe Biden né la sceneggiata dell’estrema difesa della democrazia recitata con un discorso teatrale a pochi passi dal Congresso, per riaccendere negli americani i ricordi del 6 gennaio, né tirare fuori dagli armadi i “padri nobili” dei democratici come Obama e Clinton, esibiti come icone nella speranza di galvanizzare l’elettorato di sinistra e portarlo a votare domani alle elezioni di midterm. E non è servito neanche andare a questuare nei Paesi Arabi che fanno parte dell’Opec plus un prezzo “equo” e calmierato del petrolio chiedendo di non tagliare le produzioni.
I sondaggi parlano chiaro e prevedono una batosta per i dem anche se Joe Biden, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, ha girato l’America in lungo a largo, senza risparmiarsi, anche con Barack Obama al fianco, per lanciare l’allarme sul rischio per la democrazia di una vittoria di un partito repubblicano controllato “dall’estremismo” dell’ala trumpiana.
Ma l’ultimo sprint del presidente democratico, che il 20 novembre compie 80 anni, non sembra essere riuscito a fermare il vento che ormai da settimane soffia sempre più deciso in favore dei repubblicani, proiettati, secondo i pronostici, verso una netta vittoria nelle elezioni di midterm di domani.
Sono vari e perlopiu economici i motivi per cui i dem sembrano destinati a prendere una batosta: principalmente la frustrazione degli americani per l’inflazione, con l’aumento dei prezzi della benzina – l’Opec plus ha tagliato la produzione del 20 per cento facendo schizzare in alto i prezzi – e beni alimentari, insieme alle critiche per una politica democratica percepita, dal popolo statunitense, come non abbastanza severa verso criminalità ed immigrazione.
C’è chi rispolvera il vecchio adagio clintoniano “it’s the economy, stupid” adattandolo alla situazione attuale: “it’s inflation, stupid“.
I democratici avevano puntato tutto su altri temi, come l’aborto, per difendere la loro ristretta maggioranza al Congresso. E, d’altra parte, è tradizione che le elezioni di midterm si trasformino in uno schiaffo per il presidente in carica ed il suo partito. Biden, insomma, sa che dovrà infilare la testa nel cappio.
Tutti i pronostici danno vincenti alla Camera i repubblicani – che hanno bisogno di vincere solo 5 seggi per rovesciare gli attuali rapporti di forza di 222 a 213 in favore dei democratici – con l’unica incognita su quanto sarà ampia la loro maggioranza.
Una risposta che potrà arrivare dai 26 duelli che, secondo i sondaggi dell’ultima ora di Politico, rimangono ancora aperti.
Al Senato, invece, la situazione è diversa: al momento c’è una situazione di sostanziale parità 50-50, con i democratici che hanno la maggioranza solo grazie al voto della vice presidente Kamala Harris. Che è la presidente della Camera alta. Di conseguenza la partita, per le elezioni di midterm di domani, appare destinata ad essere giocata fino alla fine sul filo del rasoio.
A differenza della Camera, che viene interamente rinnovata ogni due anni, al Senato il mandato è di 6 anni, quindi ogni due anni viene rinnovato circa un terzo dei 100 senatori: domani 35 per l’esattezza perché si dovrà sostituire anche un senatore dell’Oklahoma che si è ritirato.
Secondo il sondaggio pubblicato oggi da Politico, sono 6 i duelli che potranno decidere chi guiderà il Senato.
Quattro di questi seggi sono attualmente in mano ai democratici – Arizona, Georgia, Nevada e New Hampshire – e due ai repubblicani – Pennsylvania e Winsconsin – facendo quindi pendere un po’ più in favore di questi ultimi la bilancia delle possibilità.
Ma domani si vota anche per eleggere 36 governatori, e centinaia di sindaci e funzionari locali.
L’importante tornata elettorale è quindi il primo test per la democrazia Usa dopo le contestazioni elettorali di Donald Trump e l’assalto al Congresso da parte dei suoi sostenitori per impedire la ratifica della vittoria di Biden.
Biden e i democratici tentano l’ultima carta cercando di fare leva emotivamente sugli elettori e lanciando l’allarme sui candidati repubblicani trumpiani in lista, a livello nazionale e statale – il Washington Post ne ha contati 299 – che si ispirano non solo al programma Maga dell’ex presidente, ma sono come lui ‘negazionisti‘, cioè mettono in dubbio la legittimità della vittoria elettorale di Biden.
Con candidati governatori ed altri incarichi che danno il controllo del processo elettorale negli stati che promettono, o minacciano, drastiche revisioni dei sistemi elettorali.
Da parte sua Trump punta su questo esercito di suoi candidati che affermano l’illegitimità delle elezioni del 2020, per trasformare il voto di domani, in una rivincita su Joe Biden. Ed in un trampolino di lancio una sua nuova candidatura alla Casa Bianca, a cui da giorni, durante i comizi a sostegno dei candidati, continua a fare riferimenti per nulla velati, assicurando che arriverà un annuncio “molto presto”. E il suo entourage che fa già trapelare una data, il 14 novembre, a pochi giorni dalla prevista vittoria repubblicana, che l’ex-presidente punterebbe così ad intitolarsi.