I gommoni degli scafisti non partono senza l’ok delle Ong. Le testimonianze dei migranti in un libro scomodo

29 Nov 2022 12:18 - di Stefania Campitelli

Complicità delle Ong con gli scafisti senza scrupoli. È questo il tema esplosivo del  libro Urlo, schiavi in cambio di petrolio” di Michelangelo Severgnini. Messo in scena da un docufilm censurato al Festival di Napoli. Dopo soli 20 minuti la proiezione del film programmata a Napoli al Pianeta Terra è stata interrotta per l’intervento di un gruppo di militanti delle Ong che ha inscenato una rivolta. “Il film è robaccia, tutto falso”, dicono. Film e libro sono colpevoli di aver dato voce a molti migranti africani, finiti loro malgrado nella rete del business delle Ong.

“Urlo” mette in luce  le connessioni tra Ong e trafficanti

“Io non voglio partire. Negli ultimi due mesi ho fatto di tutto per tornare in Sudan, il mio Paese”. È  la testimonianza di un nordafricano riportata da Libero. Che pubblica alcuni stralci eloquenti del libro. Ogni testimonianza del libro è collegata a un codice Qr che rimanda all’audio o al video dei racconti. A pagina 37, Severgnini riporta il dialogo con Yahia, nordafricano che si trova in Libia. La Ong Mediterranea Saving Humans, scrive, aveva appena annunciato il varo di Mare Jonio, battente bandiera italiana. Alla notizia Yahia lo contatta. “Gira la notizia che la sinistra in Italia ha creato un’organizzazione per mettere in mare una nuova nave. Per salvare la gente che muore nel Mediterraneo. Ci sono altri modi per aiutarci, non solo il mare”, dice il nordafricano in un messaggio vocale.

La denuncia dei migranti: aiutateci in un altro modo, non in mare

“La gente si è sbarazzata del sogno di venire in Europa. Vuole solo ritornarsene a casa. Perché non evacuate i migranti qui in Libia? Sono certo che conoscete i numeri dei migranti e la nazionalità. Li state ad aspettare in mare? Aspettate che attraversino?”, incalza.Lo squallido meccanismo è rodato. I poveretti devono racimolare 2.000 dinari libici (1.250 euro), consegnarli ai trafficanti per essere caricati sui questi gommoni della morte. Che potrebbero affondare prima di raggiungervi la destinazione. O potrebbero essere intercettati dalla guardia costiera libica e messi in prigione. “Se state veramente cercando di aiutarci, perché non vi impegnate in altre direzioni che possano aiutare più di una nave?”.

I gommoni della morte e le torture in Libia

Un’altra testimonianza, ripresa da Libero,  riguarda un giovane ghanese, che si trova a Tripoli, intervistato dall’autore di Urlo a proposito dell’affondamento di un gommone con 100 vittime morte in mare. “Le imbarcazioni usate non sono vere imbarcazioni. Sono solo canotti. Caricano le persone sopra questo tubo gonfiato di plastica molto sottile. Che non è in grado di trasportare tutti”. Ma c’è di peggio. Il ghanese riporta la convinzione ‘certa’ che esiste una connessione strutturale tra le Ong e i trafficanti libici.

Intercettati dalla Guardia costiera libica, vengono arrestati

Non c’è modo che uno di questi gommoni parta senza che le Ong non ne siano a conoscenza”, spiega. Ma la maggior parte di loro non arrivano mai in Italia perché vengono intercettati dopo neanche un’ora. Subito dopo vengono ricondotti in Libia, incarcerati, torturati e spesso muiono. “Quindi se le Ong sono in contatto con i trafficanti, bisogna dire loro che questo sistema deve finire. Mi appello alla mia gente e a tutti coloro che stanno ascoltando questo programma: bisogna fermare le traversate del mare”.

L’sms di una giovane pronta a imbarcarsi

Scorrendo il libro si trova anche il caso di una giovane ospite di un centro Unchr di Medenine in Tunisia. Che scalpita per imbarcarsi. E scrive a Severgnini questo sms. “Oggi molti migranti hanno deciso di tornare in Libia. Dal momento che le navi delle Ong sono tornate in mare. Sinceramente anch’ io sto pensando di tornare. O torno in Guinea o mi imbarco su un altro gommone per l’Italia. Ora che ci sono le navi delle Ong non è così difficile”. Le Ong usano i media per far arrivare ai migranti ciò che per loro è importante che si sappia. Non informano sui rischi reali. Fanno proclami trionfanti. E i migranti illusi dal sogno europeo cadono nella trappola.

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