Il mito di Atlantide da Platone ai fumetti: un libro ne ricostruisce la storia e il fascino sempreverde
Atlantide, la città perduta descritta intorno al 360 a.C. dal filosofo greco Platone, non ha mai smesso durante i secoli di suscitare l’interesse dei posteri e stimolare viaggi e tentativi di scoperta e poi ispirare romanzi, racconti e pellicole cinematografiche. Oggi, ci racconta Marco Ciardi nel suo Benvenuti ad Atlantide, edito da Carocci, sono soprattutto i fumetti a rivisitare il tema di Atlantide, creando storie nelle quali i vari protagonisti delle strisce intrecciano il loro camino con gli atlantidi.
Le interpretazioni del mito di Atlantide
Marco Ciardi è professore ordinario di Storia della scienza all’Università di Firenze con una passione coltivata fin dall’infanzia per i fumetti. Così all’attività accademica aggiunge l’approfondimento di temi legati alla letteratura fantastica che analizza alla luce della sua sensibilità «scientifica». Nel corso degli anni ha approfondito il mito di Atlantide dal punto di vista della storia della scienza, scrivendo due libri e numerosi articoli, per poi estendere il discorso alla «pseudoscienza» e all’immaginario, fino ad incontrare nuovamente Jules Verne e molti altri autori che gli erano famigliari fin dall’infanzia. La storia di Atlantide ha prodotto nel corso dei secoli centinaia di interpretazioni che possono essere ricondotte a tre filoni principali.
Alla base del mito un evento geologico?
Ci sono coloro che hanno ritenuto che Atlantide sia esistita realmente e Platone abbia fornito precise informazioni sulla posizione geografica, sulla conformazione geologica e sulla sua configurazione urbanistica e sociale. Un secondo filone interpretativo ritiene il racconto di Atlantide un ricordo impreciso di un importante evento geologico avvenuto in un tempo lontano, poi rielaborato e romanzato dal filosofo greco. Queste due posizioni sono state dominanti dal Quattrocento fino alla metà del Novecento quando a seguito delle risultanze scientifiche e delle conclusioni degli specialisti del pensiero di Platone si è imposta l’interpretazione che Atlantide sia nata sostanzialmente dalla fantasia del filosofo greco, con la sola aggiunta che «forse» potrebbe aver attinto anche a qualche reminiscenza storica, rielaborata però in modo
assolutamente originale e personale.
Le narrazioni sulla città perduta
In Benvenuti ad Atlantide sono ripercorse tutte le tematiche e le loro innumerevoli varianti che nel corso dei secoli sono derivate dal racconto platonico e che in grandi linee furono già catalogate nei principali studi comparsi a fine Ottocento. Nella sostanza Atlantide, collocata nel cuore dell’Oceano omonimo, costituiva il luogo di origine della prima civiltà comparsa sulla terra, alla quale si riferivano tutte le leggende dei popoli dell’antichità, da quelle greche, alle nordiche e alle americane. I superstiti scampati alla catastrofe approdarono in diverse regioni del mondo, alcune delle quali già colonizzate in precedenza. Dal loro racconto derivarono i miti sulle inondazioni e i diluvi dei popoli antichi. Nonostante gli sforzi effettuati in passato − Ciardi cita come ultimo il tentativo senza esito dell’oceanografo e registra Jacques Cousteau con la sua nave Calypso − la città perduta viene ritrovata soltanto nei racconti, nelle pellicole e nella ricchissima produzione di fumetti che l’autore passa in rassegna nel suo libro.
Il tradizionalismo e il mito di Atlantide
Atlantide sarebbe dunque soltanto una favola, in grado di produrre nei secoli molta buona letteratura e negli ultimi decenni tante gradevoli «strisce», ma pur sempre una favola. Tuttavia il racconto di Platone può essere esaminato non soltanto scientificamente, ma anche con il
metodo che filosofi come Julius Evola e René Guenon definivano «Tradizionale», per il quale gli antichi miti non solo favole ma narrazioni di una storia sacra, che irrompe nel mondo, lo fonda e lo rende così come è oggi. Platone nei dialoghi Timeo e Crizia racconta di un’isola-continente nel quale viveva una civiltà che partecipava di un’essenza divina, che ispirava moderazione, saggezza, capacità di coniugare il perseguimento del benessere e della ricchezza con l’osservanza della virtù.
I miti secondo Mircea Eliade
Nel succedersi di molte generazioni tale essenza «mescolatasi spesso con molta natura mortale», finì con l’estinguersi. La natura umana prese il sopravvento e allora il comportamento degli Atlantidi degenerò fino al punto che Giove decise di far sprofondare l’isola nel profondo dell’oceano. Il suo significato profondo rimanda quindi ad una concezione della storia ciclica, dove da un’Età dell’Oro − variamente denominata nelle diverse civiltà indoeuropee −, nella quale l’umanità era in contatto diretto con il divino, si passa progressivamente ad una società secolarizzata, dove l’uomo è l’unica misura di tutte le cose. Se si assume questo punto di vista, conta poco che Atlantide, il Paradiso terrestre, l’isola di Thule, Avalon e gli altri luoghi originari delle religioni orientali, possono o meno essere materialmente ritrovati. «I miti – scriveva lo storico delle religioni Mircea Eliade – rivelano che il mondo, l’uomo e la vita hanno un’origine e una storia soprannaturale e che questa storia è significativa, preziosa ed esemplare».