Lavorava col cellulare, sviluppa un tumore all’orecchio: il Tribunale gli riconosce la rendita Inail

5 Nov 2022 20:58 - di Redazione
tumore cellulare

L’Inail è stata condannata in Appello a riconoscere una rendita professionale di invalidità a un uomo che aveva sviluppato un tumore benigno all’orecchio, causato – ha stabilito il Tribunale di Torino – dall’uso prolungato del cellulare per motivi di lavoro. L’uomo aveva già ottenuto una sentenza a favore in primo grado, da parte del Tribunale di Aosta, ma l’Inail aveva fatto ricorso in appello.

La richiesta di rendita di invalidità respinta dall’Inail

Protagonista della vicenda un tecnico specializzato di un’azienda valdostana ora in pensione, che per 13 anni ha usato il cellulare in media 2 ore e mezza al giorno per motivi di lavoro. Quando ha scoperto di essere affetto da un tumore benigno all’orecchio l’uomo ha chiesto all’Inail che gli venisse riconosciuta una rendita da malattia professionale. A seguito del tumore l’ex tecnico, assistito dagli avvocati torinesi Renato Ambrosio e Stefano Bertone, ha riportato, secondo referti medici, sordità sinistra, paresi del nervo facciale, disturbo dell’equilibrio e sindrome depressiva. Il tribunale di Aosta aveva riconosciuto il nesso causale tra l’utilizzo del cellulare e l’insorgenza del neurinoma del nervo acustico, stabilendo per il lavoratore il pagamento di una rendita di circa 350 euro al mese, ma l’Inail aveva fatto ricorso in appello chiedendo una nuova consulenza.

Il Tribunale riconosce un nesso tra uso del cellulare e il tumore all’orecchio del pensionato

La Corte d’Appello di Torino ha quindi nominato un nuovo consulente, l’otorinolaringoiatra torinese Roberto Albera, che dopo numerosi incontri e scambi di memorie con i consulenti delle diverse parti in causa ha confermato che «esiste un’elevata probabilità che fu il cellulare a causare il tumore anche in relazione all’esclusione dell’intervento di fattori causali alternativi». Nella sostanza, secondo la perizia, «in assenza di possibili cause, vi è la presenza di un unico fattore di rischio costituito da un’esposizione prolungata a radiofrequenze». Negli anni il lavoratore avrebbe usato per lavoro il cellulare tra le 10 e le 13 mila ore.

Gli avvocati: «Una sentenza scritta da scienziati tra scienziati»

«Si tratta di una sentenza scritta da scienziati fra scienziati in cui il ruolo dei giuristi è stato marginale – hanno sottolineano gli avvocati Ambrosio e Bertone – che dimostra che le radiofrequenze possono causare tumore. Le radiofrequenze, infatti, a differenza dello scarico di un motore diesel che si percepisce con l’olfatto o della lama di un coltello che si percepisce con il tatto, si percepiscono solo con i rilevatori elettrici. I wi.fi, le cosiddette “saponette”, gli “hotspot” emettono e ricevono tutte radiofrequenze. La distanza resta dunque il miglior alleato e non andrebbero mai tenuti a contatto con il corpo».

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