“Lo Stato Sociale” stavolta le canta alla sinistra. Lodo Guenzi: «Ha perso la sua anima»
Una band che fa dell’antifà la propria bandiera, con slogan – spesso verbalmente violenti – che ricalcano quelli degli anni ’70. Compagni duri e puri, si direbbe, con la falce e martello stampata nel dna. Stavolta però Lodo Guenzi, della band “Lo Stato sociale”, le canta alla sinistra. Nei prossimi mesi sarà protagonista di numerosi film per il grande schermo; tra questi “La California”. Nell’opera prima di Cinzia Bomoll interpreta Yuri il punk, sfoggiando una cresta piuttosto singolare. «Ci ho messo un po’ di tempo ad accettare la parte, perché non ero così d’accordo a farmi quella supercresta», dice intervistato dal quotidiano “La Ragione”. «Ho visto che c’era tanta Emilia, c’era tanta fine del comunismo».
Lodo Guenzi de “Lo Stato Sociale” e i giustizialisti
Guenzi è molto diretto nelle interviste e anche sui social network, nonostante l’immarcescibile politicamente corretto. Una moda abbastanza preoccupante a suo avviso, anche da un punto di vista meramente politico. Come detto, le canta alla sinistra: «I più suscettibili, i più dogmatici tra ciò che è bene e ciò che è male, i più giustizialisti sono diventati quelli della mia parte, di sinistra. Hanno regalato alla destra anche la libertà di espressione, solo che lei non sa che farsene e chiama in tribunale gli scrittori». Il riferimento è chiaro, come al solito è una lettura completamente di parte.
Altri affondi sulla sinistra
Il frontman de “Lo Stato sociale continua a bacchettare la sinistra, che ha perso la sua vera anima. «La sinistra esiste solo se metti in dubbio i rapporti di forza economici. Non esiste nell’universo nessuna categoria discriminata che puoi proteggere con parole carine e non mettendo in discussione i rapporti economici che in qualche maniera creano profitto sulla loro debolezza».
La band, le sconfitte e il mercato
Tornando a Lo Stato Sociale, Guenzi non ha mai nascosto le sconfitte. Recentemente ha ammesso che la band si è fatta mangiare dal mercato: «Non mi riferivo solo a Lo Stato Sociale, ma alla sua generazione. Noi credevamo di dover fare dei numeri giganti fuori dal mercato, molto più grossi di quelli che in quel momento il mercato lo abitavano. E così era. Suonavamo nei Palasport nei momenti in cui chi era primo in classifica in radio non riempiva un club da cento persone».