“Rave party”, l’accusa di Crepet: «Certa intellighenzia vuole una gioventù di zombie»
«I raduni senza regole non salvano i giovani». Non è un titolo del Secolo d’Italia, né di altro giornale politicamente equipollente bensì della democraticissima e progressista Stampa. E non riflette il pensiero di un bieco reazionario, di quelli che il più delle volte stazionano a destra, bensì di un’autorità indiscussa nel campo della psichiatria come Paolo Crepet, accademico di chiara fama e volto noto della tv. È lui l’autore della riflessione sui “rave party“. Ed è tutto suo «un certo sgomento», da cui si dice assalito «a leggere la levata di scudi di una parte, non certo minoritaria, dell’intellighenzia che a vario titolo e con diverse argomentazioni ha espresso la propria legittima contrarietà a tali intenzioni politiche».
Crepet: «Quei raduni sono il trionfo dell’illegalità»
Quali? Quelle sottese al decreto recentemente approvato dal governo Meloni, che ha inasprito le pene per gli organizzatori dei “rave party“. I quali – ricorda Crepet -sono illegali perché al loro interno «accadono cose illegali». Tante cose: occupazione abusiva, mescita di alcol ai minorenni, spaccio di ogni tipo di droga, anche letale, aggressioni, violenze e via elencando. «Chi se la sente di sdoganare tutto ciò?», chiede lo psichiatra. Difficilmente arriverà una risposta chiara. Tanto più se si pensa che il modello di sballo dei “rave party” sembra disegnare la società ideale di certa sinistra: un mondo di zombie dove ognuno ha diritto a tutto senza addossarsi, in cambio, alcuna responsabilità. Non è un caso che Crepet estenda lo stesso schema alle città parlando di «city party».
Lo sballo? Un modello sbagliato
Si riferisce a «quel prolungamento nemmeno tanto “sottovoce”, che ha inglobato migliaia di di vie e piazze d’Italia, dove quasi H24 si può acquisire, ad ogni età, qualsiasi cosa con il corredo magnifico di un’assordante musica tecno». È quel che ci arriva sotto forma di cronaca quotidiana: pestaggi notturni, incidenti stradali causati da alcol e/o droga, spaccio libero e locali aperti sino all’all’alba. Il tutto, denuncia Crepet, «sotto l’ala protettiva di qualche boss locale». Inoppugnabile. E qui l’analisi dello studioso si fa particolarmente severa.
«Stiamo perdendo un’intera generazione»
«Vi sono intellettuali – accusa – che hanno per anni osannato don Ciotti e le attività benemerite della sua “Libera” che come pochi si è battuta contro le Mafie, salvo poi chiudere quattro occhi di fronte a quanto accade nel proprio quartiere che è l’esempio di una cieca connivenza con i più loschi affari». Da qui lo smarrimento di fronte a chi si oppone a misure più efficaci contro il modello “rave party”. La posta in gioco, conclude Crepet, è il futuro della gioventù. «Perché vogliamo annientare un’intera preziosissima generazione? Perché in molti sembrano così felici di vivere in una “selfish comunity“, dove trionfa cinismo, indifferenza e cecità?». Già, perché?