Il mondo va nella direzione esattamente opposta rispetto all’utopia globalista
Dopo avere immaginato, a ridosso delle elezioni del settembre 2022 e della vittoria del centrodestra, sfracelli e cataclismi, certa “buona informazione”, visti i risultati, sembra ora votarsi ad una sorta di minimalismo cultural-politico ugualmente fuori dalla realtà.
Il sovranismo e l’utopia globalista
Prendiamo il “sovranismo”. Considerato una sorta di dannazione nazionale, di fronte ad un mondo avviato lungo i “felici” percorsi della globalizzazione e dell’integrazione delle economie e delle culture, il “sovranismo” viene oggi letto come una risposta “periferica” dai bassi orizzonti strategici e geopolitici.
“Vedremo presto – scrive Mario Lavia (su Linkiesta Magazine + New York Times World Review 2022) – se il nazionalismo di Meloni e dei suoi consiglieri, che spuntano come funghi nei giornali e nei salotti, entrerà in contraddizione con la globalizzazione della politica e finanche delle coscienze, se la Roma meloniana si accontenterà di uno strapuntino della Storia e non di un palcoscenico aulico che il suo retroterra ideologico dovrebbe ispirare”. Il nostro destino secondo Lavia? Quello di tornare al ruolo di periferica nazioncina che si illude di poter vivacchiare lontano dagli stress globali.
Il globalismo nell’anno del tramonto
In realtà il mondo sembra andare nella direzione esattamente contraria rispetto all’utopia globalista. E proprio sulla base di una realtà fattuale di cui certi osservatori benpensanti non sembrano volere conto.
Che il “globalismo” , nell’anno al tramonto, non abbia goduto di particolari fortune lo dicono una serie di ragioni che proprio nel 2022 hanno trovato concreta visibilità: le nuove limitazioni allo spostamento di merci e persone; il tramonto del mondo interconnesso dell’informazione senza confini, a fronte di una guerra parallela, quella delle new e di una nuova Rete che invece di globalizzarsi crea nuove cortine di ferro digitali; l’impatto demografico; il riorientamento geopolitico dell’Europa destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Mediterraneo; le diversificazioni in campo energetico; la sfida dell’autonomia strategica nel campo della sicurezza energetica, della sicurezza cibernetica e dell’economia digitale.
Che cosa pensa la gente
All’ordine del giorno degli Stati è il venire meno della speranza che il mercato globale avrebbe reso universale un’unica visione del mondo. A dirlo – si badi bene – non è qualche intellettuale “sovranista”, ma le opinioni pubbliche internazionali, analizzate da Ipsos, il cui sondaggio, svolto in 33 nazioni, è stato pubblicato da “Domani” (Enzo, “Il pericoloso spettro dell’iper egoismo nazionale aleggia sul mondo”, “Domani”, 27 dicembre 2022). Secondo questa inchiesta il 79 per cento dei cittadini delle realtà monitorate ritiene, oggi, che sia giusto concentrarsi prioritariamente sul proprio Paese e occuparsi meno di quello che accade nel mondo.
Le tendenze sono ben chiare
La classifica è lunga, ma le tendenze sono ben chiare. Ai vertici l’Indonesia, con il 90 per cento, seguita dal Sud Africa e dalla Corea del sud (89), dalla Malesia e il Perù (87), dalla Romania e dalla Turchia (86). In fondo alla classifica, con numeri comunque molto significativi l’Italia e la Germania (70) per i cui cittadini è necessario pensare meno al mondo, concentrandosi sui problemi nazionali. Scendendo nel dettaglio: il 70 per cento degli italiani ritiene che la mondializzazione abbia generato svantaggi per i popoli e vantaggi solo per i ricchi; il 64 per cento ritiene che le dinamiche dei mercati globali stiano uccidendo la nostra economia e il 68 per cento avverte la globalizzazione come una minaccia distruttiva della nostra cultura. A questi tratti si associa una perdita di fiducia verso l’Unione Europea (scesa dal 59 per cento di fine 2020 al 53 per cento di dicembre 2022).
L’utopia globalista e la realtà
Sono numeri che debbono fare pensare, in particolare quanti, negli ultimi decenni, hanno fondato sulla globalizzazione le nuove sorti e progressive dell’umanità. Non tutto – al contrario – pare definito su questi crinali. A sfarinarsi è la cultura dell’astratto, a fronte di una nuova domanda di concretezza e di identità, maggioritaria a livello delle singole nazioni. Un vecchio mondo è al tramonto, con le sue facili illusioni globaliste, egualitariste, taumaturgiche. Politica, economia, tenuta sociale, cultura dell’appartenenza sono in discussione. Con forti domande identitarie, nuove suggestioni tecnologiche, orizzonti post industriali, aspettative di sintesi, segno di un tempo in cui tutto va ricomposto. Certamente su nuove basi.