In Spagna vietato distinguere i giocattoli per maschi e femmine: il bavaglio gender sulla pubblicità
Si articola in ben 64 punti il codice deontologico della pubblicità dei giocattoli che è entrato in vigore oggi in Spagna e che ha l’obiettivo di combattere stereotipi e discriminazioni di genere fin dall’infanzia. La norma, fortemente voluta dal ministro delle Imprese, Alberto Garzòn, di Sinistra Unita, entra dunque molto nel dettaglio rispetto a ciò che si può e non si può proporre ai bambini, a cominciare dalla messa al bando degli abbinamenti tra categorie di giocattoli o colore e sesso del bambino: insomma, niente più bambole rosa per le femmine e macchine blu per i maschi, né esplicitamente, né implicitamente.
In Spagna vietato distinguere i giocattoli per maschi e per femmine
In base al codice, gli spot in Spagna dovranno mantenere un «linguaggio inclusivo e rivolgersi a tutti senza distinzione di genere». Una regolamentazione «non sessista», rivendica il legislatore spagnolo, sostenendo che è stata emanata al fine «di evitare che i bambini, soprattutto quelli nella fascia 0 -7 anni, crescano riproducendo ruoli imposti». Il nuovo codice deontologico, però, più che aggredire i “ruoli imposti” sembra andare a colpire direttamente le identità. E, d’altra parte, ormai da anni giochi come la cucina, il kit per le pulizie o anche il tavolo con gli attrezzi da lavoro non sono più proposti con l’immagine di bambini del sesso di riferimento secondo gli stereotipi, ma con quella di bambini del sesso opposto o di entrambi i sessi. Non a caso la norma, che si inserisce nel solco di una legge californiana che impone ai grandi rivenditori l’allestimento di un reparto “neutro” al fianco di quelli per maschi e femmine, suscita pareri contrastanti.
Il pubblicitario Casiraghi: «Norma assurda e controproducente»
«Questa norma mi sembra estrema e persino controproducente in rapporto all’obiettivo che si prefiggerebbe. È assurdo pensare di poter vietare nella comunicazione riferimenti o richiami rispetto al sesso del fruitore della pubblicità stessa, che peraltro per quanto riguarda le primissime fasce di età è il genitore medesimo, cui dovrebbe essere preservata la potestà di educare i figli secondo quanto egli ritenga», ha commentato il pubblicitario italiano Cesare Casiraghi, parlando con l’agenzia di stampa Adnkronos. «L’inclusione – ha aggiunto il pubblicitario – è un tema molto importante, tirarlo per i capelli sino a “normare” se io pubblicitario o azienda possa o meno utilizzare il rosa o l’azzurro o una voce femminile o maschile nello spot, lo banalizza o lo forza a sovrastrutture innaturali perché imposte, peraltro da un legislatore. Domandiamoci fino a che punto in nome dell’inclusione o equità di genere arriveremo a spingerci: nel prossimo presepe dovremmo quindi iniziare a liberare po’ di spazio per una “Gesù bambina”? D’altronde – è stata la provocazione di Casiraghi – perché no?».
Quelli che… «non è abbastanza: si estenda anche ai pure i produttori»
Per Marianna Ghirlanda, presidente di Iaa Italy (International Advertising Association), l’associazione dei pubblicitari internazionali, invece un codice deontologico per la pubblicità come quello introdotto dalla Spagna non basta e ce ne vorrebbe uno «per tutta la filiera produttiva dei giocattoli». Dello stesso parere Stefania Siani, presidente di Adci (Art Directors Club Italiano, l’associazione dei pubblicitari italiani), secondo la quale sradicare gli stereotipo «significa non solo intervenire sulla comunicazione ma sui prodotti, su come sono concepiti, sulla filiera produttiva e culturale tutta». Per Maurizio Cutrino, direttore di Assogiocattoli, poi, quello che sta avvenendo sarebbe «un’evoluzione naturale, un abbattimento delle barriere legato ai cambiamenti di una società sempre più attenta, sensibile e inclusiva a supporto di nuovi approcci educativi e formativi, per un concetto di gioco sempre più aperto a tutti».
Hanno mai visto un bambino giocare?
Discorsi che sembrano piovere da un universo parallelo in cui i bambini veri – fatti di carne, ossa, sesso biologico, identità e carattere individuale – non esistono o, se esistono, sono ridotti a terminali ultimi di un pensiero e di un mercato omologati. Chiunque, infatti, abbia visto dei bambini alle prese con i giocattoli non può non sapere che si orientano naturalmente verso ciò che riconoscono come più adatto loro. In genere, questo si risolve nelle bambole per le femmine e nei mostri per i maschi, senza che si precludano gli uni e gli altri non rare incursioni più o meno prolungate nell’altro campo. Dunque, se c’è un messaggio che andrebbe arginato è quello di chi pensa che gli stereotipi di genere si possano eliminare attraverso la cancellazione dei generi, per di più imposta con un codice deontologico calato dall’alto sulla testa di tutti: bambini, genitori, creativi, industria.
Il Moige: «Lasciamo i genitori liberi di educare e i pubblicitari liberi di esprimersi»
«Lasciamo che i pubblicitari esprimano la loro creatività nel modo più libero possibile, senza paletti e censure, inefficaci e illiberali, che siano solo il rispetto e i valori espressi dai codici deontologici a guidare le attività pubblicitarie. I genitori siano liberi di educare i figli con tutti i colori e i giocattoli che desiderano, senza imposizioni e pregiudizi di ogni genere», ha commentato Antonio Affinita, direttore generale del Movimento italiano genitori (Moige).