“La sfida partecipativa” resta attualissima. Il libro di Francesco Marrara analizza origini e potenzialità
L’Idea partecipativa, quale sintesi della “terza via economica e sociale”, è stata fatta oggetto, negli ultimi anni, del rinnovato interesse da parte di una giovane pattuglia di studiosi/cultori della materia. Ad essi è toccato farsi carico dell’eredità di un percorso storico e culturale che dal mazzinianesimo alla Dottrina Sociale della Chiesa, ai teorici del corporativismo (da Ugo Spirito a Gaetano Rasi) ha rimarcato non solo i limiti del modello di sviluppo dominante ma ha anche posto realistiche ipotesi di lavoro.
Fanno parte di questa giovane ed attiva avanguardia intellettuale: Francesco Carlesi (presidente dell’Istituto Stato e Partecipazione ed animatore della rivista “Partecipazione”), Emanuele Merlino, Filippo Burla, Francesco Guarente, Flaminia Camilletti, Luca Lezzi, Gianluca Passera. Ad essi si è ora aggiunto Francesco Marrara, classe 1995, autore de La sfida partecipativa. Dalle origini del sindacato al dominio della tecnica.
Il libro di Marrara, nato in ambito universitario come tesi di laurea, ma ampliato rispetto alla sua stesura originaria, può essere utile per “accendere” aspettative inusuali, offrendo, dietro le rigorose analisi giuridiche dell’autore, storie ed esperienze spesso taciute dalla vulgata corrente.
L’excursus storico e giuridico, che apre La sfida partecipativa, aiuta a cogliere quanto sia stato lungo e complesso il passaggio dalle prime forme della mutualità operaia alle più articolate organizzazioni propriamente sindacali, rendendo evidente la graduale “presa di coscienza” (rispetto ai diritti e alle responsabilità) di un mondo del lavoro parcellizzato, diviso, impreparato ad affrontare i nuovi contesti determinati dalla Rivoluzione Industriale e dalla Rivoluzione Borghese dell’ ’89, segnata dall’individualismo e dall’ideologia antipartecipativa, che portò all’abolizione delle corporazioni, delle società benefiche ed educative, delle organizzazioni di lavoratori, delle società artigiane e delle organizzazioni politiche e di fatto.
“Libero” e “uguale” di fronte alla legge, il singolo lavoratore fu solo di fronte al datore di lavoro ed in un’oggettiva condizione di subalternità economica e sociale. Lo slogan era “laisser faire, laisser passer”. La stessa idea di un diritto dei poveri venne considerata come un privilegio dell’Ancien Régime, evidentemente in contrasto con il libero gioco delle forze, degli individui e del mercato.
La spinta dell’individualismo borghese non fu peraltro limitata alla Francia. Anche l’Inghilterra, all’avanguardia della Rivoluzione industriale, fece la sua parte, con l’abrogazione, nel 1834, della legge sui poveri, atto attraverso il quale ci si sbarazzò degli ultimi brandelli dello Stato protettore, nel segno di una ridefinizione delle regole che dovevano reggere i rapporti fra l’individuo e lo Stato stesso.
I riferimenti storici aiutano a cogliere il senso degli interessi in gioco e le ragioni profonde di una partita che venne ad articolarsi sul piano sociale, culturale e giuridico, attivando un processo di “ricostruzione” che è ancora in corso, pur essendo stata realizzata, nel corso del XX Secolo, una significativa opera di ridefinizione dei diritti dei lavoratori, attraverso i contratti collettivi di lavoro, le specifiche norme giuridiche generali (dalla Carta del lavoro allo Statuto dei lavoratori), i richiami costituzionali. Quanto realizzato, in chiave dottrinaria e giuridica, è agli atti e non va dimenticato. Va però difeso e reso attuale, muovendosi su un piano critico, laddove si verifichi il rischio che al formalismo giuridico non corrisponda, nella prassi, un concreto riconoscimento del ruolo del lavoratore, una sua nuova centralità, una funzione attiva e dunque “partecipativa” rispetto alle trasformazioni in corso.
In questo ambito va ripensata la stessa politica della concertazione, autentica novità, dal punto di vista delle relazioni sociali, sviluppatasi in Italia a partire dal primi Anni Novanta del ‘900, guardando però ad una più ampia e complessa idea di “coesione sociale”.
Su questi “crinali” si posiziona la nuova sfida partecipativa. Che è sfida giovane nella misura in cui – come fa Marrara – sa ritrovare la centralità del Lavoro, coniugandolo con il nuovo Umanesimo digitale; sa guardare al di là dei vecchi orizzonti classisti, ritrovando integralmente l’Idea partecipativa; non accetta il vecchio individualismo borghese, affermando un solidarismo attivo; rifiuta la prassi di un sindacalismo burocratico, rivendicandone la dinamicità; non nega la Patria, ma vuole riconquistarla ad una più alta visione sociale.
L’Idea partecipativa è giovane per tutte queste ragioni. Ed ancor più per la volontà di una giovane generazione di studiosi che – come Marrara – questa Idea hanno saputo fare propria, studiandola e mettendola al vaglio della contemporaneità. A loro di farsene pienamente carico, muovendosi – come fu per il Sindacalismo Rivoluzionario – nei tortuosi, ma affascinanti, percorsi della teoria e della prassi sociale.
Francesco Marrara, La Sfida Partecipativa. Dalle origini del sindacato al dominio della tecnica, con i contributi di Francesco Carlesi, Mario Bozzi Sentieri, Ermenegildo Rossi, Passaggio al Bosco, 2022, pp. 172, euro 16.00.