Le Ong non ci vogliono stare, ribelli al decreto, ripartono alle loro regole: “Non rispetteremo i limiti”
Ammantati del pannicello caldo della missione umanitaria, le Ong non ci vogliono stare e annunciano battaglia al decreto del governo che ne ridimensiona operazioni e scelte arbitrarie. Non ci sono mai volute stare: continuando a scorrazzare avanti e indietro per il Mediterraneo, decise a fare da taxi di mare agli esuli finiti nelle mani di spregiudicati trafficanti. Determinate, stante il silenzio assenso degli Stati membri –le cui bandiere sventolano col vento in poppa – a fare incessantemente rotta sull’Italia. L’obiettivo, taciuto ma implicito anche quello: trasformare il Belpaese nel campo profughi d’Europa.
Le Ong non ci vogliono stare: e sfidano il governo sul decreto sicurezza
Ebbene, il governo di centrodestra ha deciso di mettere un argine a tale e tanta deriva e con un decreto mirato a ridimensionare lo strapotere con cui le Ong gestiscono flussi, rotte, soccorsi e sbarchi, scegliendosi finanche il porto di approdo, l’esecutivo sforna un decreto che riformula le possibilità di cui hanno goduto finora per le loro discutibili attività in mare. E che, soprattutto, rimodula il primo punto all’ordine del giorno nei loro diari di bordo: considerarsi al di sopra della legge. Un principio arbitrario a dir poco, che oggi le Ong tornano a rivendicare con proclami bellicosi e invocazioni rivolte ai loro stessi Paesi.
Contro il codice di condotta le Ong si appellano addirittura allo Stato di riferimento…
E così, come illustra Il Giornale in un esaustivo riassunto dello stato dell’arte e sulle reazioni indispettite delle organizzazioni umanitarie, «i tedeschi di Sea Eye invocano addirittura l’intervento della Germania. Medici senza frontiere annuncia la ripartenza della loro nave spiegando che rispondono solo alle convenzioni internazionali. Emergency, con la nave che batte bandiera panamense, si rifiuta di raccogliere le richieste di asilo dei migranti recuperati. Geo Barents, la nave di Msf salperà da Augusta il 31 dicembre per portarci altri migranti, anche se non scappano da Paesi in guerra. Il capo missione è Juan Matias Gil», che oggi si mostra scatenato contro l’esecutivo Meloni e dichiara furente: «La strategia del governo ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle Ong. Salvare vite umane è il nostro imperativo ed è un obbligo sancito da tutte le convenzioni e le leggi internazionali. Per questo continueremo a farlo».
E invocano diritto internazionale o leggi dello Stato di bandiera, che contano solo se non si parla di sbarchi e redistribuzioni
Ed è pure in buona compagnia… Tra generalissimi infervorati. Attivisti dissidenti. E talebani dell’accoglienza, non mancano i barricaderi. Tra loro, svettano in prima fila proprio i tedeschi. Che con Annika Fischer a fare da capocordata, annunciano che «Sea-Eye non seguirà alcun codice di condotta illegale o qualsiasi altra direttiva ufficiale che violi il diritto internazionale o le leggi dello Stato di bandiera: nel nostro caso la Germania». Che, va rilevato, diventa autorevole Paese di riferimento quando si tratta di protestare e rivendicare l’improponibile. Proprio con la stessa facilità con cui finisce di essere lo Stato di bandiera quando si tratta di decidere porto sicuro di sbarco o smistamento e ricollocazione dei migranti approdati in Europa. Pertanto, gli integralisti delle Ong teutoniche pretendono, per opporsi al decreto, che «il governo tedesco tuteli le organizzazioni di soccorso in mare dal comportamento illegale delle autorità italiane». Sostenendoli con decisione «in caso di conflitto».
Ong sul piede di guerra: contro le nuove regole e pronte a ripartire
E non è da meno Emergency con l’ammiraglia Life support, che batte bandiera panamense. E che annuncia tra squilli di trombe e rulli di tamburi, di opporsi al decreto. Di “inchinarsi” all’obbligo a «raccogliere l’eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo. Affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale». Spiegando altresì, tra impeto decisionista e poteri discutibilmente auto-referenziabili, che secondo le linee guida dell’Organizzazione internazionale marittima «qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie». Ossia: stabilisce da sé e per sé di dare ordini al governo, impugnando legittime decisioni.
Ma sui trafficanti di esseri umanisti cala un inquietante silenzio…
L’apice, però, lo sfiora con veemenza Veronica Alfonsi, di Open arms. La quale discetta a ruota libera su obiettivi e spirito delle scorribande nel Mediterraneo tuonando contro i i testimoni «delle violazioni dei diritti quotidiane e reiterate che l’Europa compie in accordo con Stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di soldi pubblici». Il riferimento è chiaramente indirizzato alla Libia. Peccato che, ancora una volta la Ong in questione, non si ponga il problema dei trafficanti di esseri umani che gestiscono dall’alto traffico e rotte. O, peggio ancora, finga di ignorarlo e di sottovalutare il rischio di passare, in uno schiocco di dita, da salvatori in prima linea a fiancheggiatori in mare aperto…