L’omicidio Ramelli raccontato su Raiuno. Ma quanta comprensione per la violenza rossa…
Il 12 dicembre Raiuno ha trasmesso, in seconda serata, Cronache criminali, un programma condotto da Giancarlo De Cataldo. Puntata dedicata agli anni ’70, raccontati attraverso due omicidi, quello di Sergio Ramelli (1975) e quello di Walter Rossi (1977). Il punto di vista avrebbe dovuto essere super partes, tuttavia i tempi del racconto sono stati diversi: più spazio dedicato a Walter Rossi, meno a Sergio Ramelli.
E’ vero però che il servizio ricostruisce con esattezza, attraverso le parole di Guido Giraudo, tutto l’orrore, tutta la violenza gratuita, tutta l’omertà che gravano sul caso Ramelli, un giovane martire che Ignazio La Russa ha citato nel suo discorso di insediamento al Senato, insieme a Fausto e Iaio, provocando conati di risentimento in quella parte della sinistra riluttante dinanzi ai lutti provocati in quegli anni. Particolarmente simbolica la frase che uno degli assassini, processati solo nel 1987 grazie al pm Guido Salvini, pronuncia raccontando della sua azione omicida: “In quel momento l’ho guardato negli occhi e ho capito la differenza tra il fascista idealizzato e quel ragazzo che era un mio coetaneo”.
C’era attesa per questo spaccato sugli anni di piombo nel quale finalmente la Rai ha dato adeguato spazio a un ragazzo ucciso di destra, prima considerato di serie B. Un “prima” che non è poi così lontano nel tempo. Ricordiamo che Antonio Scurati, qualche mese fa, rimproverava a Giorgia Meloni di avere reso omaggio alla memoria di Ramelli. Nel 2020, solo due anni fa, Christian Raimo rimproverava Walter Veltroni per un articolo sul Corriere dedicato a Ramelli e definiva il diciottenne missino assassinato l’ “icona del peggiore neofascismo”. Nel 2015 un servizio dell’Espresso cercava di infangare la memoria di Ramelli pubblicando una foto (e scrivendo che si trattava di Ramelli) in cui lo si accostava alla manifestazione del 18 aprile del 1973 in cui cadde l’agente di polizia Antonio Marino. Il tutto finalizzato a dire che Ramelli non era mica un martire…
Ramelli rappresenta la cattiva coscienza della sinistra che dall’eskimo è passata alle terrazze e ai piani alti. Guai a nominarlo, guai a rendergli omaggio. Del resto loro si sentivano giustificati dal “contesto”, che era quello in poche parole spiegato nel corso della trasmissione Cronache criminali da Umberto Croppi: “Noi dovevamo essere espulsi dalla vita politica, espulsi dalla vita civile e qualche volta espulsi dalla vita…”. Questo, obiettivamente, nella puntata si percepisce assai poco.
I “camerati” di Sergio Ramelli non appaiono. Si fanno parlare invece i compagni di Walter Rossi. Ne percepiamo le emozioni, la commozione, la rabbia. Dei militanti di Lotta Continua vengono raccontati i sogni di rivoluzione. Si definiscono confini immateriali che il racconto suggerisce: da una parte i “fascisti”, il corpo estraneo. Dall’altra la “meglio gioventù”. Ma alla fine, quando si vedono i funerali, le bare, il dolore, la folla annichilita, non sono poi immagini così diverse e distanti.
Nell’affresco grigio degli anni Settanta, i minuti dedicati all’omicidio Ramelli appaiono quasi una “concessione”. Dall’altra parte era tutto più aureolato: si sparava e si ballava. C’erano le Br ma anche l’autonomia “creativa”, gli indiani metropolitani. Le canzoni sulla militanza a destra non le hanno fatte sentire. Invece abbiamo ascoltato l’inno al 1977 di Gianfranco Manfredi: che bello pendersi la merce (leggesi spesa proletaria), tirare i sampietrini nell’incendio di Milano, le spranghe sui fascisti e le pietre sui gipponi. La violenza che si fa, addirittura, “poetica”. Molto fastidioso e anche molto ingiusto verso quel ragazzo, Sergio Ramelli, cui la trasmissione avrebbe dovuto, nelle intenzioni, essere dedicata.