Pietà, ora pure “Mercoledì” di Tim Burton fa scattare il piagnisteo politically correct: “È razzista”
Bufera social su Tim Burton e la sua Mercoledì nel mirino dell’Inquisizione politically correct: «Agli attori di colore solo ruoli da cattivi»… Già, ora anche lui. Proprio lui: l’affabulatore del grande schermo che poeticizza i freak e declina il suo elogio della diversità alla mostruosità dell’attualità, finisce nel mirino del tribunale mediatico. Una giuria inflessibile, che lo accusa di aver reso la sua ultima eroina, la prima in versione seriale televisivo, la protagonista politically scorrect della sua nuova, geniale fatica d’autore. Mercoledì, la serie con la meravigliosa Jenna Ortega nei panni della protagonista. E che appena approdata su Netflix ha sbaragliato gli indici di ascolto e persino superato il primato da guiness di Stranger things, finisce sotto tiro dei buonisti a tutti i costi…
Tim Burton e la sua Mercoledì nel mirino dell’Inquisizione politically correct
Il motivo? Nell’ossequio al manifesto inclusivo stilato da Hollywood e dintorni, l’attribuzione del cattivo di turno risulterebbe – a detta dei Torquemada di turno – appannaggio di due personaggi negativi della serie, interpretati da attori di colore – Joy Sunday e Iman Marson –. O meglio, i due protagonisti e non sono “buoni”, come imporrebbe il decalogo liberal della correttezza politica. Perché? La sceneggiatura, secondo gli integralisti della bibbia politically correct, li descrive addirittura come prepotenti, più che ribelli. Come irriverenti che si comportano da bulli. Finendo per apparire più “noir” dei freaks ritratti in chiaroscuro.
Social e media scatenati contro il regista e la serie: all’indice la scelta dei ruoli per due attori di colore
O meglio: secondo alcune autorevoli testate d’oltreoceano – su tutte, per esempio, Il Giornale cita Vice.com – dai social sarebbe montata una protesta contro la serie tv Mercoledì. Criticata dagli indefessi integralisti della cultura del piagnisteo, di incuneare presunte “sfumature razziste”. In pratica, la polemica pretestuosa ma mirata ad hoc, parte dall’assunto che i neri nei film e nelle serie tv debbano sempre rivestire ruoli positivi. E obbedire a un buonismo più conformista dell’anticonformismo da cui si vorrebbe prendere le mosse.
Il solito piagnisteo dell’inclusività eretta a dogma
Insomma, sostituire un cliché con un altro. Purché tutto, alla fine, risponda all’obbligo di ossequio all’ossessione radicale per l’inclusione e l’obbligo di rappresentanza delle minoranze. Un cliché divenuto per Netflix, Amazon, Disney Plus e per tutte le altre piattaforme di streaming un diktat al quale adeguarsi e declinare standard narrativi e castring. E per cui, tutte le serie – come le giurie dei premi, a partire dagli Oscar e dai Bafta – devono prevedere – ed è così già da un po’ – almeno un attore di colore, un personaggio lgbtq, una storia omosex, e via discorrendo.
Mercoledì, l’eroina freak che fa storcere il naso ai puristi del politicamente corretto
E poco importa che la cosa possa creare scollature, forzature evidenti e talvolta sfiorare il paradossale o il grottesco: quel che conta è soddisfare le incalzanti richieste degli ideologi del politicamente corretto. Quelle per cui i bianchi possono tranquillamente vestire i panni di serial killer o spregiudicati malvagi senza tetto né legge. E in un capovolgimento iconografico e iconologico, i “normali” della serie di Tim Burton diventare magari i mostri che sotto il manto dell’agnello nascondono il pelo del lupo (o almeno è giustificato averne il dubbio)…
Tim Burton, il cultore dell’elogio alla diversità
Eppure Tim Burton, presentando la serie tv gothic ispirata ai personaggi della famiglia Addams che sta avendo un enorme successo. E di cui è il produttore esecutivo oltre che il regista, aveva già risolto “ecumenicamente” la questione prima che la polemica esplodesse, chiarendo che i protagonisti della serie, ossia i membri della famiglia Addams, «sono per definizione una famiglia di “strani” e dato che la maggior parte delle famiglie è fatta di “strani” trovo che chiunque riesca a identificarsi con loro». E distribuendo un po’ su tutti i personaggi note di nero e sprazzi di luce e ombre del dubbio.
L’oppressione del buonismo a tutti i costi
Perché tutta la sua filmografia si staglia da sempre, per scelta stilistica e convinzione sociale, sulla sottile linea di confine che separa la normalità dalla sua diversità, la ragione dalla follia, la favola dall’incubo gotico. Ora, a strigliarlo dall’alto di questo punto di osservazione, gli inquisitori della finta inclusione che promuove il politically correct. A cui, proprio recentemente, ritirando un premio alla festa del cinema di Roma, Tim Burton ha mandato a dire: «Non si può più dire nulla. Credo sia una situazione opprimente per tutti. Personalmente non faccio caso a ciò che dico e non mi interessa nemmeno».