Il “sale” sulle rovine di Cartagine: l’eredità della guerra in Ucraina sarà l’odio verso i russi a causa di Putin
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
La guerra porta solo ed esclusivamente a maturare odio. Non vi è dubbio. La storia lo dimostra; eppure l’uomo non impara e probabilmente non imparerà mai dai propri errori. Gli orrori della guerra, questo è certo, portano a maturare un odio profondo tra i rivali in campo, ognuno per le proprie ragioni, che difficilmente si riesce a superare. E’ accaduto nei millenni di storia dell’umanità, purtroppo accadrà ancora. Sarà così tra le popolazioni russe ed ucraine, che di certo mai si riconosceranno in un solo popolo, tutt’altro. E’ già così purtroppo tra israeliani e palestinesi. Lo è tra serbi ed albanesi del Kosovo. Un odio interetnico profondo in Ruanda fra Hutu e Tutsi, nonostante la comune fede cristiana.
La storia ci insegna che spesso i motivi della guerra nel tempo sono superati dall’odio che la guerra scatena tra le popolazioni. L’odio che porta solo al desiderio di cancellare per sempre la presenza dell’altro dalla faccia della terra. Cancellare la stirpe, eliminarne per sempre il seme. E’ certamente il sentimento che provarono le legioni romane sfinite dalle interminabili guerre puniche, contro i cartaginesi. Sarà per questo, se mai l’episodio può avere un fondamento di verità, che nella primavera del 146 a.C., sconfitti sul campo gli avversari cartaginesi in terra loro, Scipione l’Africano ordina ai suoi legionari di spargere il sale sulle rovine della città di Cartagine. Immaginiamo che possa aver detto: “che qui non cresca mai più neppure un filo d’erba”. Più o meno così me la raccontava il mio insegnante di storia alle scuole elementari. Per onor di cronaca, in verità, l’autorevole storico ottocentesco Ferdinand Gegoriovus descrisse l’episodio in questo modo: quando nel 1298 papa Bonifacio VIII rase al suolo la città di Palestrina, ordinò di cospargerla di sale “come era accaduto a Cartagine“.
In realtà fu un equivoco dello storico tedesco, perché il pontefice viceversa parlò correttamente del passaggio dell’aratro sulle rovine della città fenicia. Gegoriovus evidentemente confuse i termini e creò questo equivoco. Ma poco importa, perché la suggestione rende certamente l’idea e soprattutto manifesta in tutta la sua forza quell’insieme di sentimenti che fondono l’odio con la vendetta. Tuttavia, oggettivamente il paesaggio che circonda i resti archeologici di ciò che dovette essere Cartagine, ancora oggi, a distanza di oltre duemila anni, si presenza poco fertile alla bellezza della vita. Ma sarà solo un caso. Questo viaggio nel tempo e nella storia però ci riporta ai fatti dell’oggi. A quel sentimento sempre più diffuso di “odio per i russi”.
Per quanto brutale possa essere questa espressione, tuttavia, settimana dopo settimana, da quasi un anno, dal 24 febbraio del 2022 quando i militarti russi hanno invaso la vicina Ucraina, trova una sua giustificazione negli orrori che l’operazione speciale voluta dallo zar Putin ha lasciato e lascia sul campo di battaglia. Le fosse comuni, le torture. Gli omicidi di civili inermi ed indifesi. La distruzione di ogni cosa. La violenza distruttiva della forza bellica nei confronti di città rase al suolo. Il presente ed il futuro cancellato per migliaia di bambini. Le sofferenze inferte a migliaia di anziani. L’arroganza della pretesa. Tutto questo non potrà essere cancellato dal tempo e dagli uomini. La cultura della tolleranza che con sacrificio si era instillata nelle coscienze dei popoli europei ed euroasiatici, dopo la Seconda guerra mondiale, è stata indebolita ed in alcuni casi cancellata dagli effetti del fanatismo russo e dalla sua sete di conquista. I nemici del mondo, sono ancora una volta i russi. Prima o poi la guerra sul campo, su quel che resta della terra ucraina, terminerà, in un modo o nell’altro. Quel che ne rimarrà però, oltre le migliaia di lutti e le lacerazioni della sofferenza da fame a da povertà, sarà un odio profondo e senza fine per il popolo russo. Troppo semplicistico provare a cancellare questo evidente sentimento che si espande a macchia d’olio con il richiamo alla necessità di riconoscere la cultura del popolo russo, patrimonio dell’umanità. I suo grandi scrittori, gli artisti, i compositori, le loro opere, certo sono patrimonio di tutti.
Ma qui la questione è altra. La lacerazione culturale, frutto della scellerata follia dello zar Putin, alla fine ha rigenerato quel sentimento di paura e di “odio razziale” che avevamo provato a seppellire insieme ai carnefici del nazismo e del comunismo. Il tempo dei totalitarismi, sconfitti dalla cultura della democrazia, doveva essere solo un lontano ricordo ed un monito per gli uomini e le donne di questo millennio. La follia di Putin ha dimostrato invece che il germe della follia e dell’odio non si cancella ne con il dolore e le lacrime, ne con i carri armati e le bombe. E’ questo il vero dramma culturale che ci lascia in eredità la tragedia che si consuma giorno dopo giorno in Ucraina. La rinascita di un odio profondo verso l’altro, verso l’uomo, verso colui che non riconosciamo più come nostro simile, anzi. Un odio profondo che ci fa pensare che quando tutto sarà finito, la cosa giusta da fare sarà – ordinare ai nostri legionari di spargere il sale sulle rovine di Cartagine – e pronunciare in coro “che qui non cresca mai più neppure un filo d’erba”. di Lorenzo Peluso