Iran, spirale di sangue senza fine: condannata a morte una donna incinta. “Azione urgente” per salvarla
Ancora sangue in Iran: stavolta la sentenza condanna a morte una giovane madre accusata di aver dato fuoco a un’immagine di Khomeini. Sangue di innocenti che pagano con la vita le proteste contro un regime violento. E contro una deriva autoritaria che, tra ferocia cieca e politica oscurantista, conferma quanto e come il Paese sia determinato, ogni giorno di più, a rinnegare il dialogo. A negare anche i più basilari diritti democratici. Ed è un destino crudele, quello che le autorità di Teheran stanno infliggendo, a suon di sentenze e esecuzioni capitali, a giovani. Donne. Disabili e ragazzini indifesi. Indifferentemente…
Iran: condannata a morte una donna incinta
Colpendo madri, figli, studenti. Promesse dello sport e intellettuali in erba, tutti indistintamente vittime di un sistema giudiziario e di una cultura che impedisce loro di vivere. Di sbocciare e maturare. Vite stroncate nel loro pieno fulgore, e nel caso dell’ultima condannata a morte, un’esistenza stroncata prima ancora di venire alla luce insieme a quella della giovane madre che la custodisce nel grembo.
Ancora sangue in Iran, una spirale di orrore senza fine
Sì, perché come riferisce tra gli altri il sito del Tgcom24, in Iran le autorità hanno emesso una condanna a morte per una donna incinta di origine curda, accusata di aver dato fuoco a un’immagine del fondatore della Repubblica islamica dell’Iran, Ruhollah Khomeini. È l’emittente panaraba di proprietà saudita “Al Arabiya” a dare la notizia che alza ancora di più – se possibile – l’asticella dell’orrore che si sta consumando quotidianamente in quella terra lontana, luogo di terrore e morte. Secondo la tv la donna rischia una «esecuzione imminente». Da parte sua, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha chiesto una «azione urgente» per contrastare la sentenza capitale.
Iran, tragica sequenza di esecuzioni: gli ultimi giovani finiti al patibolo
Si allunga ancora, allora, quella sembra una interminabile lista di condannati a morte in Iran. Un tragico elenco di vittime che, solo nei primi giorni di gennaio, ha registrato l’esecuzione di un ragazzo di 18 anni accusato di aver “diretto” le rivolte nel nord del Paese, nella città di Nushahr. Prima di lui, qualche giorno prima, era toccato a Mehdi Mohammadi Fard e Mohammad Boroghani – due ragazzi rispettivamente di 18 e 19 anni – salire sul patibolo. Il 9 gennaio, invece, è stata la volta della condanna per altre tre persone, che le autorità avevano accusato dell’omicidio di tre membri delle forze di sicurezza durante le proteste.
Il pugno duro di autorità politiche e magistratura
Mentre il mese scorso ad aprire il macabro elenco era stato il 23enne Majidreza Rahnavard, impiccato sulla piazza pubblica in esecuzione di una delle infinite condanne inflitte dai vari tribunali cittadini a uomini, donne, ragazzi o poco più, accusati – spesso senza prove o in virtù di processi arbitrari e discussi – di aver partecipato a una mobilitazione che va avanti ormai dalla metà di settembre, in seguito alla morte di Masha Amini. Che le autorità bollano e sanzionano come “violenta”. E che la magistratura iraniana sta punendo a ritmo serrato, a prezzo della vita.