L’affondo di Rita Dalla Chiesa: «Del terrorismo rosso non si parla mai. Mio padre sconfisse le Br»
«In questi anni io e la mia famiglia abbiamo spesso assistito, increduli e sgomenti a interpretazioni romantiche dei brigatisti, ritratti come ingenui idealisti oppure, nel peggiore dei casi, come vittime di un sistema politico che li manipolava». È dura Rita Dalla Chiesa, in un’intervista a Il Giornale a firma Paolo Guzzanti. «È così – ricorda – venivano coccolati da un certo tipo di sinistra che li accoglieva nei salotti, li nascondeva nelle seconde case e arricciava il naso di fronte ai Gruppi Antiterrorismo di mio padre. Noi l’abbiamo proprio vissuta sulla nostra pelle questa ingiustizia perché, dopo mio padre, ho perso mia mamma, morta d’infarto a cinquantadue anni senza avere neanche avuto funerali decenti, dal momento che ci tenevano in caserma per proteggerci e non si poteva uscire».
Il generale veniva ucciso quarant’anni fa: la serie tv
Quarant’anni fa, il 3 settembre del 1982, il generale e sua moglie Manuela Setti Carraro furono barbaramente assassinati a Palermo dalla mafia. E da quel momento il generale, scrive Guzzanti, «è salito sul palco degli eroi della guerra alla mafia. Ma Dalla Chiesa è stato prima di tutto il comandante in capo, unico e vittorioso, del Gruppo antiterrorismo dei carabinieri che accettarono di abbandonare la vita civile rinunciando a mogli e fidanzate per combattere e vincere la guerra dello Stato contro le sedicenti “Brigate rosse per il comunismo”». Per la prima volta la prossima settimana è in arrivo su Raiuno la serie tv Il nostro generale che racconta proprio la nascita a Torino negli Anni 70 del Nucleo Speciale Antiterrorismo voluto dal generale per combattere le Brigate Rosse. Serie con protagonista Sergio Castellitto che presta il volto al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Rita Dalla Chiesa: «Degli anni di piombo e del terrorismo rosso non si parla mai»
«All’inizio la Rai voleva fare una fiction e io ho detto di no: se ne sono già fatte due. – sottolinea Rita dalla Chiesa – Poi ho guardato Simona (Ercolani ndr) e ho detto: a meno che non vogliate parlare in questa serie soltanto degli anni di piombo, che non erano mai stati toccati se non in modo impreciso e provvisorio. Simona ha sposato immediatamente l’idea, perché è vero: degli anni di piombo e del terrorismo rosso non si parla mai. Ricordo quando mi resi conto che l’intero significato della vita e della morte di Dalla Chiesa era centrato tutto e soltanto sulla mafia siciliana, rendeva invisibile tutto ciò che mio padre aveva fatto lottando contro la cattiva politica e i cattivi maestri che fiancheggiarono il terrorismo delle Brigate Rosse».
«C’è una politica che ricorda quello che le fa comodo»
E poi ancora: «Non riuscendo a fare i conti con il proprio passato c’è una politica che ricorda quello che le fa comodo». Guzzanti poi le chiede: “Insomma secondo lei i partiti di sinistra fingono di non ricordare la guerra vinta da suo padre contro i terroristi di sinistra e lo usano soltanto come icona antimafia?”. E lei risponde: «Non credo che sia un caso che la figura di mio padre sia più associata alla lotta alla mafia che non alla sua vittoria sui brigatisti rossi. Se fosse vero vorrebbe dire che un martire della criminalità organizzata è meno divisivo di colui che ha sconfitto le Brigate Rosse».
«La generazione che è arrivata dopo non può avere memoria di ciò che non ha vissuto»
Poi tornando al film sottolinea: «Questo è un film specialmente su questi ragazzi che non hanno mai avuto un nome vero, ma solo i soprannomi che gli aveva dato mio padre. Ieri mi ha scritto Trucido, e io Trucido non so come si chiami, perché per me è sempre e soltanto Trucido, anche sul mio cellulare. E questi ragazzi avevano lasciato le loro famiglie e le loro fidanzate per lavorare con papà: la loro è una grande storia, per la dedizione e l’amore che avevano per mio padre e l’amore che papà aveva per loro. La generazione che è arrivata dopo non può avere memoria di ciò che non ha vissuto».
Rita Dalla Chiesa: «Un punto di partenza per la ricostruzione della memoria»
«E voglio ringraziare tutti gli attori, a partire da Castellitto, che hanno interpretato la nostra vita. Lui mi ha detto subito: Rita io non voglio somigliare fisicamente a tuo padre, ma voglio che mi racconti quello che lui aveva dentro, perché solo in questo modo io riesco a riviverlo per gli altri. E lo stesso vale per la persona che ha interpretato mia mamma, Teresa Saponangelo, un’attrice napoletana bravissima. Io le ho le ho raccontato di mamma e mi sono commossa, ho visto lo sforzo che hanno fatto e ho potuto apprezzare una casa di produzione che si è presa in carico la nostra vita, mia e dei miei fratelli, e ne è venuto fuori quel pezzo di storia che in Italia tutti dovrebbero conoscere. Questo docufilm può essere additato come esempio di ciò che andrebbe fatto per raccontare l’Italia, perché la memoria non si può costruire, la memoria non si può imporre, ma si possono fornire gli strumenti per formarla. Quando con Simona ne abbiamo parlato, le ho detto: beh beati voi che avete fatto una cosa su un pezzo della storia in Italia. E questo potrebbe davvero essere un punto di partenza per la ricostruzione della memoria, per dare consapevolezza alle nuove generazioni, visto che da loro si pretende il rispetto della memoria».